12 luglio 2011

Da Khartoum al Nilo Bianco, il ritorno dei migranti


Mille al giorno, lungo gli argini del Nilo, nel fango di strade che non esistono. Ritornano nella terra dei padri da Khartoum e da altre regioni del Sudan dove adesso, con l’indipendenza del Sud, rischiano di diventare stranieri.
“Dalla fine di ottobre abbiamo censito 315.157 persone” dice alla MISNA Giovanni Bosco, portavoce dell’Ufficio dell’Onu per il coordinamento dell’assistenza umanitaria (Ocha), una macchina organizzativa che in questi mesi sta lavorando su più fronti.
Salva Kiir, il presidente del Sud Sudan, ha sostenuto ieri che il suo governo concederà la cittadinanza a tutti i “fratelli del Nord” che lo desiderano per motivi familiari, professionali o di altro tipo. “Gli daremo la priorità sia negli investimenti che nel mercato del lavoro” ha aggiunto il capo di Stato, un guerrigliero che ha combattuto Khartoum per 22 anni, fino agli accordi di pace del 2005.
Le parole di Kiir si spiegano con la preoccupazione per i circa 800.000 sud-sudanesi che, secondo le stime del suo governo, si trovano ancora al di là della nuova frontiera. “Khartoum – sottolinea Bosco – ha licenziato 60.000 dipendenti pubblici e ufficiali sud-sudanesi perché, con l’indipendenza del Sud, non è più tenuta a rispettare le quote previste dalle intese del 2005”. I timori sono giustificati perché finora i negoziati bilaterali sui diritti di cittadinanza non hanno portato ad alcun accordo definitivo e perché il periodo entro il quale presentare un permesso di soggiorno per evitare l’espulsione dovrebbe durare appena nove mesi.
Sorge anche da qui, e non solo dall’entusiasmo per la nascita del nuovo Stato, quel fiume di migranti che da Khartoum e Kosti si riversa nella regione di Upper Nile. “Siamo nel pieno della stagione delle piogge – sottolinea il portavoce di Ocha – e le condizioni delle strade ostacolano il trasferimento di queste persone in altre zone”.
L’Upper Nile è una delle regioni del Sud Sudan dove negli ultimi mesi si sono verificati scontri tra comunità assetate di risorse o tra militari dell’esercito e combattenti irregolari. Secondo le Nazioni Unite, nel territorio del nuovo Stato ci sono sette focolai di crisi. Dall’inizio dell’anno gli sfollati causati da violenze e scontri armati sono già 273.000, mentre in tutto il 2010 non era stata superata quota 220.000. Preoccupano le scorrerie dell’Esercito di resistenza del Signore (Lra) nelle regioni meridionali al confine con Repubblica democratica del Congo e Repubblica centrafricana, ma anche i movimenti di George Athor, un ex generale di etnia dinka che sta alimentando disordini nell’area di Jonglei, o l’insofferenza di Paolino Matip, un ex ufficiale nuer che durante la guerra civile si alleò con Khartoum. Alcuni mesi fa, nel tentativo di scongiurare nuovi problemi prima della proclamazione d’indipendenza di sabato scorso, il governo del Sud Sudan lo ha nominato vice-capo di Stato maggiore dell’esercito. Ma ora Matip, assicura una fonte della MISNA che lo ha incontrato di recente, sarebbe pronto a riprendere le armi perché gli hanno dato “uno stipendio” ma non “un comando”.

Fonte: www.misna.org

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