30 novembre 2012

80 monjas corrieron una Maratón internacional para dar a conocer obras caritativas

Pekín (China): “Fuerza hermanas, corran por las obras de caridad de la Iglesia” fue la voz que más fuerte se escuchó durante la Maratón Internacional de Pekín que se celebró ayer, 27 de noviembre. Y en la que 80 religiosas corriendo para dar a conocer y promover las obras de caridad fue la imagen más hermosa de entre los 30 mil participantes. Según informó la Agencia Fides las 80 religiosas de 16 provincias chinas, participaron en la Maratón compitiendo por 30 proyectos de caridad. 
Corrieron por los ancianos, los pobres, los niños discapacitados, los huérfanos y por todas las obras de caridad que la Iglesia les ha confiado, como declaró la Hermana Yu Chun Jing, de la Congregación de las almas del purgatorio de Xing Tai, -que es una de las primeras hermanas que participaron en la maratón desde el año 2009 y sigue participando hasta hoy-, durante una conferencia de prensa el 23 de noviembre en presencia de todos los principales periódicos chinos y extranjeros. 
Además Jinde Charity, organización católica caritativa china que organiza “Corre por las obras de caridad de la Iglesia” también se ha propuesto sensibilizar a la comunidad católica de Pekín para promover la iniciativa y el apoyo de los proyectos. 
Durante la misa celebrada el 24 de noviembre en la parroquia de la Inmaculada Concepción, los fieles recaudaron 17,399 yenes (aproximadamente 2.400 euros). El sitio web oficial de la Maratón cuenta con un espacio dedicado al “2012 Run for Charity”, con los artículos de las religiosas que presentan sus obras dedicadas a los ancianos, los enfermos, los niños discapacitados y los huérfanos.
En 2009 sólo había 10 religiosas de dos provincias que participaron en el maratón por curiosidad; en el 2010 se presentaron 44 religiosas por 13 proyectos de caridad; en 2011, el año en que se puso en marcha oficialmente la iniciativa “Corre por las obras de caridad de la Iglesia” participaron 52 religiosas (junto con 4 sacerdotes y 2 seminaristas) por 14 proyectos, además siete religiosas y un sacerdote hicieron todo el camino de 42 km en poco más de 5 horas (5 hermanas son de la misma congregación, las Siervas del Espíritu Santo).
 

28 novembre 2012

Islam e Occidente: una nuova visione del futuro. Una conferenza di Andrea Riccardi al Cairo


Perchè il Mediterraneo sia la civiltà del convivere

Lunedì 26 novembre Andrea Riccardi, Ministro per la Cooperazione internazionale e l'Integrazione, ha incontrato Ahmad al-Tayyeb, Grande Imam di al-Azhar, la grande università teologica islamica di rilevanza internazionale. Il Grande Imam ha rivolto parole di profonda stima alla sua persona, all’impegno della Comunità di Sant’Egidio e all’Italia per il suo ruolo in Egitto.
Ricordando i numerosi incontri di preghiera per la pace a cui ha partecipato e le visite a Roma, egli ha affermato di aver imparato il dialogo a Sant’Egidio, comunità che rappresenta un ponte tra Oriente e Occidente. Andrea Riccardi ha espresso speranza per il processo di costruzione democratica in corso nel Paese, sottolineando come dal trattamento delle minoranze si valuti la qualità di una democrazia.  Ha inoltre sottolineato il ruolo esercitato dal Grande Imam nell’aiutare la transizione post-rivoluzionaria.
L’incontro si è quindi allargato ai componenti della Bayt al-‘Aylah (la Casa della Famiglia egiziana), una istituzione sorta nel 2010 che raccoglie i rappresentanti di tutte le confessioni religiose presenti in Egitto per favorire la collaborazione e l’intesa tra di esse. L’organismo si riunisce alternativamente sotto la presidenza di al-Azhar e della Chiesa copta ortodossa. Il Grande Imam ha presentato Andrea e la comunità con queste parole: “La Comunità raccoglie persone che si impegnano quotidianamente spendendo il proprio tempo dedicandosi ai poveri, ai bambini, agli handicappati, senza considerare la loro lingua o la loro religione. Essi fanno questo non solo nei loro Paesi, ma anche in terre lontane, come in Africa, dove curano tutti, senza fare distinzioni, creando un nuovo legame tra Europa e Africa. Essi fanno questo davanti al volto di Dio e gratuitamente. La Comunità promuove anche il dialogo tra i credenti, cristiani, musulmani ed ebrei, cercando di trovare ciò che unisce, accantonando ciò che provoca contrasti.”
In seguito, Andrea Riccardi, su invito del Grande Imam, ha tenuto una conferenza dal titolo “Islam e Occidente: una nuova visione del futuro”, davanti ad un pubblico di oltre 600 persone tra professori e studenti dell’Università di al-Azhar provenienti da tutto il mondo islamico, ripreso dalle televisioni locali e internazionali.
Nel suo discorso Andrea Riccardi ha ripercorso i recenti cambiamenti che hanno coinvolto l’Egitto, dicendo: “Sono molto contento, perché amo davvero il vostro paese che frequento da quasi trent’anni, sono contento che oggi ci sia un Egitto democratico, forte non solo del prestigio della sua storia millenaria e del suo posto tra le nazioni, ma anche del prestigio della libertà. La storia è corsa davvero veloce in Egitto, in Europa e nei paesi mediterranei. La storia si è rimessa in movimento. C’è una stagione nuova sulle rive del nostro mare. Per l’Italia, per l’Egitto, per i paesi mediterranei, dobbiamo coltivare una grande, profonda e articolata visione mediterranea. Bisogna costruire una visione mediterranea solida e articolata, capace di comprendere le relazioni economiche, quelle politiche, ma anche quelle culturali e religiose. Sono infatti convinto che la visione solida che si sviluppa tra i popoli del Mediterraneo sia proprio la civiltà del vivere insieme tra diversi: è la civiltà delle nostre città, è la civiltà delle relazioni tra i nostri paesi, è la civiltà dello spazio mediterraneo. Insomma è la realizzazione di una vera civiltà, che non si impone agli altri, ma si compone: la civiltà del convivere tra tanti universi culturali, politici e religiosi. Questa civiltà è la risposta agli estremismi che demonizzano l’altro, lo straniero, il diverso. La nostra visione mediterranea è una civiltà che cresce nella democrazia e nel rispetto della libertà di tutti.”

Il discorso integrale di Andrea Riccardi (IT - EN - FR - ARABIC)

La iglesia de Goa celebrará misa en español en honor a San Francisco Javier. Se espera la asistencia de un millón de personas


Las autoridades religiosas de Goa, una región costera del oeste de la India, celebrarán este año por vez primera unamisa en castellano en memoria del santo español San Francisco Javier, cuyos restos se conservan en ese territorio.
"El año pasado varios grupos de visitantes españoles nos pidieron tener una misa en su lengua y como tenemos un sacerdote latinoamericano hemos decidido incluir una misa en español en el programa", aseguró a Efe una fuente de la iglesia de Bom Jesús.
La iglesia de Goa, una antigua colonia portuguesa con amplia presencia del catolicismo, celebra su festival anual en memoria del santo entre los días 24 de noviembre y 3 de diciembre, día en el que se cumple el aniversario de su muerte.
"Intentamos dar misa en las lenguas de la gente que nos visita, como en malayalam, tamil, marati, hindi o portugués. Creemos que habrá al menos pequeños grupos en español el día de la misa en esa lengua, el 3 de diciembre", agregó la fuente.
Las autoridades eclesiásticas han dispuesto unos 10.000 asientos al aire libre para facilitar la asistencia de los fieles al festival de estos días, que concita en total, según medios locales, en torno a un millón de personas.
San Francisco Javier es un misionero navarro de la Compañía de Jesús responsable de la expansión de la doctrina católica por diferente territorios del continente asiático, como los actuales Japón, Borneo o China.
Tras su muerte, en el año 1552 en Shangchuan, su cadáver fue trasladado primero a Malacca, y luego depositado en la basílica del Bom Jesus, una de las más antiguas iglesias de Goa y de reconocible arquitectura ibérica.
Una vez por década, las autoridades de la iglesia exponen a la luz pública su cadáver y muchos devotos consideran un milagro que no se haya descompuesto, aunque los escépticos apuntan a que los restos fueron embalsamados para evitar su deterioro.
La última vez que tuvo lugar esta "exposición" del santo fue en el año 2004.
Las autoridades de Goa proyectan empezar a desarrollar circuitos turísticos de peregrinación desde Navarra, la cuna de San Francisco Javier, donde el santo continúa gozando de una notable estima. (Rd/Agencias)

Nuova Evangelizzazione e Mobilità Umana

Intervento di mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, all'incontro CCEE presso la Domus Mariae a Roma (28 novembre 2012)

“L’urgenza di promuovere con nuova forza e rinnovate modalità” l’evangelizzazione oggi è favorita dalle migrazioni, che “hanno abbattuto le frontiere” e aiutato l’incontro. Questa coniugazione stretta tra migrazioni e nuova evangelizzazione è stato il tema centrale del Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2012, riproposto in molti interventi del Sinodo dei Vescovi appena concluso e ripreso in una delle proposizioni finali, la n. 21.

1. Quale Chiesa evangelizza nuovamente
Quale Chiesa evangelizza ed educa oggi?
Il Documento dopo Verona, al centro del decennio ‘Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia’, lo ha ricordato. È “il volto di una comunità che vuol essere sempre più capace di intense relazioni umane, costruita intorno alla domenica, forte delle sue membra in apparenza più deboli, luogo di dialogo e d'incontro per le diverse generazioni, spazio in cui tutti hanno cittadinanza. La scelta della vita come luogo di ascolto, di condivisione, di annuncio, di carità e di servizio costituisce un segnale incisivo in una stagione attratta dalle esperienze virtuali e propensa a privilegiare le emozioni sui legami interpersonali stabili” (CEI, Rigenerati per una speranza viva, n. 12).

Da chi partire?
La centralità dell’attenzione ai poveri, degli esclusi nel senso più ampio del termine: economica, sociale, culturale, tra i quali i migranti economici e i rifugiati. Le nuove fragilità sono un luogo di missionarietà. Anche la mobilità è una forma pesante di fragilità.
È sempre il documento Dopo Verona a ricordarlo. “In un'epoca che coltiva il mito dell'efficienza fisica e di una libertà svincolata da ogni limite, le molteplici espressioni della fragilità umana sono spesso nascoste ma nient'affatto superate. Il loro riconoscimento, scevro da ostentazioni ipocrite, è il punto di partenza per una Chiesa consapevole di avere una parola di senso e di speranza per ogni persona che vive la debolezza delle diverse forme di sofferenza, della precarietà, del limite, della povertà relazionale. Se l'esperienza della fragilità mette in luce la precarietà della condizione umana, la stessa fragilità è anche occasione per prendere coscienza del fatto che l'uomo è una creatura e del valore che egli riveste davanti a Dio. Gesù Cristo, infatti, ci mostra come la verità dell'amore sa trasfigurare anche l'oscuro mistero della sofferenza e della morte nella luce della risurrezione. La vera forza è l'amore di Dio che si è definitivamente rivelato e donato a noi nel Mistero pasquale. All'annuncio evangelico si accompagna l'opera dei credenti, impegnati ad adattare i percorsi educativi, a potenziare la cooperazione e la solidarietà, a diffondere una cultura e una prassi di accoglienza della vita, a denunciare le ingiustizie sociali, a curare la formazione del volontariato. Le diverse esperienze di evangelizzazione della fragilità umana, anche grazie all'apporto dei consacrati e dei diaconi permanenti, danno forma a un ricco patrimonio di umanità e di condivisione, che esprime la fantasia della carità e la sollecitudine della Chiesa verso ogni uomo” (CEI, Rigenerati per una speranza viva, n. 10).

2. Nuova evangelizzazione e nuovi testimoni
La nuova evangelizzazione chiede nuovi testimoni.“La via della missione ecclesiale più adatta al tempo presente e più comprensibile per i nostri contemporanei prende la forma della testimonianza, personale e comunitaria: una testimonianza umile e appassionata, radicata in una spiritualità profonda e culturalmente attrezzata, specchio dell'unità inscindibile tra una fede amica dell'intelligenza e un amore che si fa servizio generoso e gratuito. Il testimone comunica con le scelte della vita, mostrando così che essere discepolo di Cristo non solo è possibile per l'uomo, ma arricchisce la sua umanità. Egli quando parla, non lo fa per un dovere imposto dall'esterno, ma per un'intima esigenza, alimentata nel continuo dialogo con il Signore ed espressa con un linguaggio comprensibile a tutti. La testimonianza pertanto è l'esperienza in cui convergono vita spirituale, missione pastorale e dimensione culturale” (CEI, Rigenerati per una speranza viva, n. 10).
Il profilo della missione oggi in Italia si delinea attorno ad un termine che lo qualifica:: testimone. Nel testimone fede e opere viaggiano insieme, così come viaggiano insieme evangelizzazione e testimonianza. Paolo VI, nell’l’esortazione apostolica ‘Evangelii Nuntiandi’ (1975), uno dei documenti più importanti e discussi del suo Pontificato ., di fronte a opposte tendenze di chi riduceva l’evangelizzazione alla promozione umana - cadendo in una ‘nuova secolarizzazione’ - e di chi escludeva la promozione umana dall’evangelizzazione, affermava che tra evangelizzazione e promozione umana esistono legami profondi.
Al n. 24 del documento, Paolo VI arriverà a scrivere che “l’evangelizzazione è un processo complesso e dagli elementi vari: rinnovamento dell’umanità, testimonianza, annuncio esplicito, adesione del cuore, ingresso nella comunità, accoglienza dei segni, iniziative di apostolato”.

Luogo dell’evangelizzazione è la Chiesa: compito fondamentale della Chiesa è l’evangelizzazione.

La Chiesa assolve al compito dell’evangelizzazione nella misura in cui “ascolta di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore” (EN n. 15).
Fede, speranza e carità non sono solo le ‘virtù’ del singolo credente, ma anche le ‘virtù’ di una Chiesa che evangelizza oggi.
In forza di questa visione complementare, dinamica dell’evangelizzazione della Chiesa e nella Chiesa, Paolo VI arriva ad affermare che la prima forma di annuncio è la testimonianza. In un mondo ricco di messaggi, in parole e immagini, che talora disorientano, scandalizzano, l’uomo cerca “più volentieri i testimoni che i maestri… o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (EN n. 41).
La Chiesa che evangelizza è una Chiesa di “testimoni”, di “testimonianze”: di “profeti” e di “segni” che incarnano in maniera nuova una cultura e dei tempi.
La Chiesa della testimonianza è una Chiesa che “ascolta e custodisce la Parola e la confronta con le parole degli uomini, che custodisce e ascolta”. Continuamente: è il duplice primato: il Primato della Parola e la scelta preferenziale dei poveri. È il senso dell’osmosi, del legame stretto tra liturgia, catechesi e carità.
La Chiesa che testimonia è una Chiesa che osserva e valuta, ragiona sulle tragedie e sulle possibilità umane per costruire un futuro, per sperare.
La Chiesa che testimonia è una Chiesa che riascolta, nelle parole e nei gesti di Gesù, una storia d’amore e la traduce in una storia di comunione fraterna, sempre in maniera originale.
La Chiesa che testimonia è una Chiesa che educa non solo attraverso l’insegnamento di verità, ma anche attraverso percorsi di stili di vita, che cercano nuove relazioni, legami e affetti.
“Disporci all’evangelizzazione” - come hanno ricordato i Vescovi italiani al primo numero del documento sulla parrocchia - in quest’ottica ’integrale’ sembra ancora essere “la questione cruciale della Chiesa in Italia oggi”.

3. Nuova evangelizzazione e migrazioni
Una nuova evangelizzazione, intesa come “riaccendere in noi lo slancio delle origini”, “nuova proclamazione del messaggio di Gesù, che infonde gioia e ci libera” chiede nuovi operatori, rinnovate strutture, un nuovo modo di comunicare che aiuti a superare “contrapposizioni e nazionalismi “ e ogni forma parallela di pastorale migratoria. In Europa la nuova evangelizzazione non può prescindere da oltre 35 milioni di persone arrivati da altri Paesi, tra i quali almeno 8 milioni di cattolici. In Italia la nuova evangelizzazione invita a guardare agli oltre 5 milioni di persone, di cui quasi un milione di fedeli cattolici “differenti” per tradizioni e riti, ma anche ai 4 milioni di italiani all’estero, la quasi totalità dei quali cattolici, che hanno formato comunità importanti soprattutto in Europa e nelle Americhe. Le comunità cattoliche di immigrati in Italia come le comunità cattoliche di emigranti nel mondo hanno costituito e costituito un valore aggiunto nell’esperienza cristiana di molte comunità di antica e nuova tradizione cristiana. Le une e le altre comunità, costituite soprattutto da giovani, sono risorse importanti per comunicare il Vangelo, ma soprattutto per viverlo in contesti diversi. Le note dell’apostolicità e della cattolicità della Chiesa trovano nell’incontro tra popoli, nelle migrazioni un luogo fondamentale di espressività. In questo senso le migrazioni sono - ha ricordato il Papa nel Messaggio del 2012 - “un’opportunità provvidenziale per l’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo”, un segno dei tempi per rileggere la nostra vita cristiana, confrontandoci con chi proviene da mondi e chiese differenti. Lasciare soli i migranti, abbandonarli, respingerli o non considerarli nelle nostre comunità significa perdere persone importanti per ripensare e ridisegnare la Chiesa, ma anche la città, con “nuove progettualità politiche, economiche e sociali”. Lavoratori e famiglie migranti, richiedenti asilo e rifugiati, studenti internazionali - le categorie di migranti che Benedetto XVI ricorda nel Messaggio - sono tre luoghi pastorali per verificare e ordinare la vita delle Chiese locali anche in Italia, “evitando forme di discriminazione”, favorendo “il rispetto della dignità di ogni persona, la tutela della famiglia, l’accesso ad una dignitosa sistemazione, al lavoro e all’assistenza”. Occorre evitare il rischio che le migrazioni corrispondano alla perdita e all’abbandono dell’esperienza di fede, magari motivate anche da una debole testimonianza della carità oltre che da una fede chiusa verso il nuovo o incapace di esprimersi in maniera rinnovata: evitare il rischio per i migranti “di non riconoscersi più come parte della Chiesa” - scriveva sempre benedetto XVI.

4. Da una società differente a una Chiesa ‘differente’?
La prospettiva ecclesiologica della nuova evangelizzazione sembra essere quella di una ‘Chiesa differente’. Riprendendo alcuni spunti del volume di Enzo Bianchi, La differenza cristiana (Torino, Einaudi, 2006), possiamo affermare che il tema e l’esperienza della comunione ecclesiale come realtà articolata e plurale è la base per costruire il rispetto e la promozione di un universalismo differenziato anche nei rapporti con le culture e le tradizioni religiose presenti oggi sul nostro territorio. Il fenomeno della globalizzazione e della mobilità crescente mentre favorisce nuove (e fino a ieri insospettate) possibilità di scambio tra i popoli, alimenta pesanti conflittualità, dovute alla presenza di tradizioni e di costumi diversi, talora radicalmente alternativi. L’odierna società multiculturale e multireligiosa stenta a trovare la strada di un confronto pacifico e arricchente; prevale la paura del «diverso», considerato come un potenziale attentatore della propria identità (soprattutto se debole) o, inversamente, l’atteggiamento della «sfida», nel caso in cui si vanti un’identità totalizzante, caratterizzata dalla tendenza a imporre la propria visione religiosa o ideologica agli altri.
Di fronte a questa situazione, in cui è forte la tentazione della chiusura, sono fondamentali atteggiamenti ispirati all’ascolto, all’accoglienza e alla ospitalità nei confronti dello «straniero», superando tanto il modello dell’assimilazione che nega la differenza, quanto quello della tolleranza che mantiene la distanza, e promuovendo una forma di integrazione, che si sforzi di trasformare la multiculturalità e la multireligiosità in interculturalità e in interreligiosità. In questo senso, la costruzione di una Chiesa differente diventa un percorso educativo, non unilaterale, che dalle relazioni personali e sociali passa alle relazioni ecclesiali.

5. L’enciclica ‘Caritas in veritate’ come chiave di lettura del fenomeno migratorio
Possiamo leggere pastoralmente questo nuovo fenomeno migratorio alla luce della enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate. Il Papa scrive che la migrazione “È fenomeno che impressiona per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale” (n. 62). Questa umanità chiede alla Chiesa di “camminare insieme con l'umanità tutta” (Gaudium et spes 40), “intimamente solidale con il genere umano e la sua storia “ (Gaudium et spes 1).

5.1 La verità e la carità: una nuova cultura delle relazioni
La mobilità e il cambiamento chiedono una nuova cultura, una cultura delle relazioni, dell’ascolto per imparare prima che per parlare, dell’incontro aperto alle sorprese delle persone, del dialogo che apre al confronto, della conoscenza che si apre all’amore. Solo così si salva l’identità, che è anzitutto mettere al centro la dignità propria e degli altri. L’identità piena non è indietro - anche se ovviamente siamo debitori del passato, del “già avvenuto” - ma in avanti, come frutto di una serie di incontri, esperienze, relazioni. Pretendere di preservare l’identità dalla contaminazione vuol dire contribuire a distruggerla, perché la si costringerebbe all’isolamento e quindi all’insignificanza e alla consunzione. Al tempo stesso, la nostra salvezza è sempre a noi estranea, “è alloggiata altrove” - direbbe Michel de Certeau. Non può alloggiare in noi: chiede la ricerca e l’incontro.

5.2 Sul piano relazionale è possibile individuare alcune piste di lavoro culturale e pastorale:
L’attenzione alla dignità di ogni persona migrante
La tutela dei diritti fondamentali e l’accompagnamento ai doveri della persona migrante
La preferenza per i poveri e gli ultimi, tra i migranti: i rifugiati, i profughi, i malati, i minori, i disoccupati…
L’attenzione a non distinguere ‘noi’ e ‘gli altri’, il ‘dentro’ e il ‘fuori’
La ricerca dell’incontro, di una intelligente relazione, interrelazione
La cultura del dialogo
Il rispetto delle differenze, di lingue e culture diverse, a fondamento dell’unità
Riconoscere prima di regolare le persone migranti
Trovare il fratello nello straniero
Trovare Dio nello straniero.

6. I luoghi di una rilettura anche delle migrazioni
Le piste di lavoro possono essere numerose. Riprendo le cinque piste del Convegno ecclesiale di Verona, cariche anche di nuovi elementi alla luce degli Orientamenti pastorale della CEI ‘Educare alla vita buona del Vangelo’.

6.1 L’attenzione al tema dell’incontro pone allora il tema della Tradizione e delle tradizioni - un tema caro al teologo Congar - cioè di una rilettura dell’identità e della differenza, dell’unità e della differenza non in maniera conflittuale, ma dentro una ‘intelligente relazione’ - come ha sottolineato il sociologo Donati e lo stesso Benedetto XVI. Si tratta di recuperare i differenti modelli ecclesiologici conciliari (Chiesa pellegrinante, popolo, sacramento, comunione), con tutte le attenzioni a cui siamo stati invitati ad essere attenti da parte degli interventi della Congregazione della dottrina della fede, dentro l’unica Tradizione. Una Tradizione, che vive anche di differenti tradizioni religiose, può esprimersi in maniera nuova, come del resto avvenne anche prima e dopo il Concilio di Trento, come scrive lo storico Jedin, anche con figure come Bartolomeo de las Casas in America Latina e Matteo Ricci in Cina. L’incontro e la conoscenza, le diverse tradizioni portano anche a valorizzare il tema del dialogo culturale. “Il dialogo, come dice questa bella parola greca, presuppone il dia-logos e quindi il rapporto tra due logoi - ha detto recentemente il Card. Ravasi - .
Il che significa che l’interculturalità non ha come meta l’identificazione, la costruzione di un’unica società globalizzata”. Esemplare, a questo proposito, può essere il dialogo ecumenico e interreligioso nuovo che, come è stato detto, a un ecumenismo solo teologico affianca un ecumenismo della quotidianità. La rilettura del decreto conciliare sull’ecumenismo (Unitatis redintegratio) e delle dichiarazioni sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae) e sul dialogo religioso (Nostra Aetate) sono aspetti importanti della formazione dei fedeli, stimolati sia dal dibattito culturale (edifici di culto) che da aspetti specifici (tempi, devozioni etc.). Non si può dimenticare, tra l’altro, che alcuni luoghi di culto simbolici - penso ai santuari - sempre di più divengono luoghi di fatto ecumenici e interreligioso.

6.2 Uno degli aspetti del ‘cambiamento’ delle dinamiche familiari e degli affetti è segnato profondamente dalle comunità familiari etniche e da esperienze familiari religiose. Questo pone il problema non solo della preparazione al matrimonio o del gruppo famiglia, ma anche di come vivere la dimensione degli affetti: rapporto uomo e donna, genitori e figli, la sessualità, l’educazione… Sul piano complessivo, un tema fondamentale, e sempre tradizionale nella cultura cristiana delle migrazioni, è quello della tutela del ricongiungimento familiare. Oltre che un diritto fondamentale del migrante, quello di ricongiungersi alla propria famiglia, è uno strumento e un luogo fondamentale di salute, di integrazione e di sicurezza sociale. Purtroppo è ancora debole l’investimento nel nostro Paese, rispetto ad altri Paesi europei, su politiche familiari delle migrazioni, che incrociano la politica della casa, della salute, della scuola. Altro tema complesso sul piano pastorale riguarda l’accompagnamento delle coppie miste, sempre più numerose: l’80% di esse non ha scelto nessuna forma di celebrazione religiosa o civile e, pertanto, non è stata accostata da nessun ministro di culto o officiale comunale.

6.3 Un’altra pista di lavoro interessante nelle nuove relazioni create dal fenomeno migratorio, la cui problematicità oggi è certamente accentuata nel dibattito culturale e politico e che abbiamo affrontato insieme anche nella Settimana sociale dei cattolici italiani a Reggio Calabria (ottobre 2010), è il tema della cittadinanza, della partecipazione attiva alla vita della città. Come aiutare una partecipazione associativa, cooperativa, sindacale, politico amministrativa, con anche il diritto di voto, al servizio civile da parte dei giovani stranieri, ad esempio? Quanto l’educazione alla politica recupera le dimensioni dell’universalismo dei diritti e dell’egualitarismo della tradizione sociale anche del personalismo cristiano, di fronte anche a spinte nuove corporative ed esclusiviste? Non solo è importante il tema della costruzione di una città di ‘eguali tra disuguali’ (Ermanno Gorrieri), ma anche di ‘uguali tra differenti’. In questa linea va valorizzata tutta l’azione di advocacy, di tutela dei diritti delle persone, delle famiglie, dei lavoratori, che alcuni episodi - tra gli ultimi Rosarno un anno fa - ha mostrato chiaramente deboli ormai in molti contesti sociali dal Nord al Sud del Paese. Anche il tema dell’allargamento della protezione internazionale, nelle forme dell’asilo, della protezione temporanea ed ella protezione sussidiaria, si connette strettamente con una globalizzazione della cittadinanza, che dopo Lisbona (2007) vede una prospettiva europea d’intervento, anche alla luce di numerose crisi ambientali, umanitarie e politiche, come le recenti in Nord Africa, che muovono milioni di persone.

6.4 Connessa al tema della tutela dei diritti è l’attenzione anche a nuove fragilità e povertà che colpiscono pesantemente il mondo immigrato, soprattutto in tempo di crisi economica, oltre che delle case di accoglienza e dei centri di ascolto, dei molti servizi. Penso al tema della casa - l’85% degli immigrati è in affitto, contro l’80% degli italiani che è proprietario della casa; penso alla precarietà e alla mobilità del lavoro che caratterizza oltre 20 milioni di lavoratori immigrati in Europa e oltre 2 milioni di immigrati in Italia e che - lo ha ricordato anche la Caritas in veritate - impediscono anche i ricongiungimenti familiari. La precarietà e l’irregolarità lavorativa chiedono oggi serenamente di affrontare il tema dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, dentro un quadro di regolamentazione dei flussi. È una prospettiva nuova, che chiede anche un cambiamento legislativo, ma soprattutto chiede la consapevolezza che non possono esistere situazioni riconosciute di illegalità e di sfruttamento lavorativo, limbi dove non è riconosciuta la cittadinanza e la tutela, dove si alimentano mafie e corruzione, sfruttamento a danno del sistema Paese, oltre che degli stessi immigrati. Al tempo stesso non può venire meno un piano di protezione e tutela dei più deboli. Penso al bisogno di costruire un accompagnamento di più 8.000 minori che arrivano in Italia ogni anno senza famiglia; penso alla prostituzione di strada e non di 50.000 donne di 60 nazionalità, con un’età media di 21 anni; penso alla crescita di disturbi psichici nel mondo adolescenziale e adulto, soprattutto femminile; penso al peso sempre più grave degli aborti delle donne straniere sul numero totale degli aborti in Italia (40.000 su 120.000) che sarà affrontato a novembre dal Convegno nazionale a Firenze dei Centri di aiuto alla vita; penso alla crescita dell’abbandono scolastico dei bambini stranieri; penso alle decine di cadaveri di stranieri morti tragicamente in Italia e che vengono non rimpatriati per mancanza di risorse, ma sepolti in fosse comuni nei grandi cimiteri…

6.5 Interessante, in senso positivo, è il senso di festa, del riposo legato alle diverse tradizioni religiose e culturale del mondo straniero. I meccanismi produttivi, economici, lavorativi sacrificano spesso la festa, che non sempre può essere celebrata per i tempi impossibili del lavoro (pensiamo alle badanti e alle persone del lavoro di cura, ad alcuni lavori agricoli stagionali, al mondo dell’artigianato, al turismo, ai marittimi), ma anche per la lontananza da casa.

7. Sette interrogativi e proposte sulla nuova evangelizzazione nel mondo nelle migrazioni
7.1. I sacerdoti
Una Convenzione condivisa dalle Chiese europee dei sacerdoti al servizio dei migranti?
Il tema degli sposati sacerdoti della tradizione orientale e le nostre Chiese. Come respirare a ‘due polmoni’ (Giovanni Paolo II)?

7.2. Le consacrate
Quale contributo nel mondo dell’evangelizzazione e non semplicemente al servizio delle Congregazioni?

7.3. I catecumeni
Quali percorsi condivisi di catecumenato per i migranti che provengono dai diversi Paesi, dalle diverse situazioni religiose (islam, ateismo, induismo…)?

7.4. Gli edifici di culto e le comunità etniche cattoliche e cristiane: quale condivisione
Il tema degli edifici di culto delle diverse comunità religiose è importante da considerare sul piano della tutela della libertà religiosa, ma anche come esperienza ecumenica concreta.

7.5 Associazionismo e movimenti cattolici
Poca presenza degli immigrati. Il cammino delle famiglie cattoliche migranti che appartengono ai movimenti come risorsa delle nostre Chiese?

7.6. La promozione umana e le Chiese
I diritti dei lavoratori, i minori non accompagnati, le persone in protezione umanitaria, le famiglie divise, la tratta degli esseri umani…

7.7. Come costruire un legame tra Chiese europee e Chiese d’Africa, i vicini di casa del domani?
L’Africa sarà la protagonista del futuro dell’immigrazione in Europa con il passaggio in 25 anni da 1 miliardo a 2 miliardi di persone. Come prepararsi ad accogliere i ‘nuovi vicini di casa’?

8. Conclusione: non cedere alla tentazione della paura
La sfida più urgente anche sul piano pastorale è imparare a convivere come diversi condividendo lo stesso territorio geografico e sociale; imparare a convivere senza distruggerci, senza ghettizzarci, senza disprezzarci, e neanche senza solo tollerarci. La debolezza culturale più rischiosa è cedere alle paure. Alla comunità cristiana è chiesto di diventare luogo educativo all’incontro.

Tauran: "La libertà religiosa sia garantita in tutto il mondo"


L'Incontro di Vienna
L'intervento del presidente del pontificio consiglio a Vienna nel centro interreligioso KAICIID. L'apprezzamento per l'iniziativa di Ban-Ki Moon

ROMA - «Il Centro presenta un’altra opportunità per aprire un dialogo su molti temi, tra cui quelli relativi ai diritti umani fondamentali, in particolare, alla libertà religiosa in tutte le sue forme, per ogni uomo, per ogni comunità, ovunque. A questo riguardo, voi capirete che la Santa Sede è particolarmente attenta alla sorte delle comunità cristiane nei Paesi, dove una tale libertà non è adeguatamente garantita».
Lo ha affermato il cardinale Jean Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il Dialogo Interreligioso, nel suo discorso di saluto alla cerimonia di inaugurazione a Vienna del centro per il dialogo interreligioso e interculturale Re Abdullah bin Abdulaziz (KAICIID), cui la Santa Sede partecipa come Osservatore fondatore.
Tauran ha portato i saluti di Papa Benedetto XVI, come «i suoi più fervidi auguri per il successo dell’attività di questo Centro per il Dialogo». «Informazione, nuove iniziative, aspirazioni e forse anche difetti - ha aggiunto Tauran - saranno portati alla nostra attenzione. Sarà, poi, compito del Centro e, dove possibile con la cooperazione di altre organizzazioni, verificare la loro autenticità e agire di conseguenza, affinchè i nostri contemporanei non siano privati della luce e delle proposte che la religione offre per la felicità di ogni essere umano».
«I credenti - ha spiegato ancora - devono lavorare e sostenere tutto ciò che favorisce la persona umana nelle sue aspirazioni materiali, morali e religiose. Così sono richiesti tre atteggiamenti: rispetto dell’altro nella sua specificità; conoscenza oggettiva reciproca della tradizioni religiosa di ognuno, attraverso l’educazione; collaborazione affinchè il nostro pellegrinaggio verso la Verità sia realizzato nella libertà nella serenità».
«Apprezzo l’impegno nell’aprire le porte a tutte le religioni del mondo e condivido con tutti voi la visione che le religioni rappresentino un facilitatore di rispetto e di riconciliazione». E' questo il pensiero del segretario delle Nazioni Unite Ban-Ki Moon, che ha partecipato a Vienna alla inaugurazione del Centro internazionale per il dialogo interreligioso e interculturale «Re Abdullah Bin Abdulaziz», per il quale la Santa Sede ha il ruolo di Fondatore-Osservatore.

http://vaticaninsider.lastampa.it/

27 novembre 2012

En San Pablo, 6ª Marcha de los Inmigrantes reivindica trabajo decente y ciudadanía universal

El Centro de Apoyo al Migrante CAMI/SPM, en conjunto con otras organizaciones, está invitando a participar en la 6ª Marcha de los Inmigrantes, que se realizará el 2 de diciembre, a las 9h, con concentración en la Plaza de la República, en San Pablo (SP). El evento pretende dar visibilidad a la contribución de los inmigrantes en el desarrollo del país.
Según la programación, a las 10h la Marcha continuará en dirección a la Plaza de la Sé, donde ocurrirá a las 12h un acto público con la lectura de la Carta-Manifiesto de los/las Inmigrantes y la presentación de declaraciones y reivindicaciones diversas, culminando con la realización de un acto cívico, cultural y religioso.
Con el lema ‘Trabajo decente y ciudadanía universal’, la Marcha contará con la participación de pueblos de diferentes nacionalidades. Aunque reconociendo las conquistas que vienen siendoobtenidas en los últimos tiempos, los inmigrantes tienen un largo camino a recorrer en su luchacontra la discriminación y la explotación en el trabajo y en su búsqueda de condiciones laborales dignas y de ampliación de los derechos de ciudadanía.
La 6ª Marcha integra las actividades de celebración del Día Internacional del Migrante, celebrado desde el 18 de diciembre de 1990, fecha en que la Organización de las Naciones Unidas adoptó la Convención Internacional sobre la Protección de los Derechos de Todos los Trabajadores Migrantes y de sus Familiares, que Brasil aún no ratificó.

Más informaciones: CAMI/SPM - (11) 2694-5428 o por el e-mail spm.cami.@terra.com.br

Em São Paulo, 6ª Marcha dos Imigrantes reivindica trabalho decente e cidadania universal


O Centro de Apoio ao Migrante CAMI/SPM, em conjunto com outras organizações, está convidandoa participar da 6ªMarcha dos Imigrantes, que será realizada no dia 2 de dezembro, às 9h, com concentração na Praça da República, em São Paulo (SP). O evento pretende dar visibilidade à contribuição dos imigrantes para o desenvolvimento do país.
Segundo a programação, às 10h a Marcha seguirá em direção à Praça da Sé, onde acontecerá, às 12h, um ato público com a leitura da Carta-Manifesto dos/as Imigrantes e a apresentação de depoimentos e reivindicações diversas, culminando com a realização de um ato cívico, cultural e religioso.
Com o lema ‘Trabalho decente e cidadania universal’, a Marcha contará com a participação de povos de diferentes nacionalidades. Embora reconhecendo as conquistas que vêm sendo obtidas nos últimos tempos, os imigrantes têm um longo caminho a percorrer na luta contra a discriminação e a exploração no trabalho e em busca decondições laborais dignas e de ampliação dos direitos de cidadania.
A 6ª Marcha integra as atividades de celebração do Dia Internacional do Migrante, comemorado desde 18 de dezembro de 1990, data em que a Organização das Nações Unidas adotou a Convenção Internacional sobre a Proteção dos Direitos de Todos os Trabalhadores Migrantes e de seus Familiares, a qual o Brasil ainda não ratificou.

Mais informações: CAMI/SPM - (11) 2694-5428 ou pelo e-mail spm.cami.@terra.com.br

Duecento milioni di cristiani minacciati


Un saggio di Rupert Shortt descrive la dinamica delle persecuzioni
di padre John Flynn LC

ROMA – Sempre più cristiani vivono sotto la minaccia di altri gruppi religiosi. Lo afferma il giornalista Rupert Shortt in un suo recente libro.
Shortt, che è editorialista di temi religiosi sul Times Literay Supplement e autore di numerosi libri sulle medesime tematiche, ha recentemente pubblicato il suo ultimo saggio Christianophobia (Random House).
Ben prima degli attacchi terroristici dell’11 settembre, molte comunità cristiane erano già vittime dell’intolleranza, afferma l’autore nell’introduzione, e nell’ultimo decennio il problema è drammaticamente degenerato.
“Questo team dovrebbe essere un argomento di politica estera di primo piano per parecchi governi del mondo”, scrive Shortt.
Lo studioso mette in luce le numerose difficoltà affrontate dai cristiani in vari paesi a maggioranza musulmana. Coloro che si convertono al Cristianesimo in tali paesi, vanno incontro a dure punizioni e c’è anche il serio rischio che le Chiese cristiane possano sparire dalle terre bibliche del Medio Oriente.
Shortt cita poi un’indagine condotta nel 2008 da Freedom House, che dimostra che, se qualche paese musulmano libero esiste davvero, come ad esempio il Senegal, si tratta di eccezioni.
“C’è un problema con l’Islam o qualcosa di simile?”, si è domandato Shortt. Ci sono elementi dell’Islam che giustificano davvero la violenza, ma l’autore ha anche ritenuto che riportare citazioni selettive dal Corano non dimostra un granché.
È un dato di fatto, comunque, prosegue lo studioso, che il diritto di criticare la fede dominante è ben più limitato che nei paesi cristiani. Al tempo stesso l’Islam non ha sviluppato, a differenza del Cristianesimo, un atteggiamento più autocritico o tollerante.
Shortt specifica che il suo libro non è basato sul presupposto di uno scontro di civiltà, né manca di autocritica sulle mancanze del Cristianesimo in passato.
La fede, aggiunge l’autore, ha mobilitato milioni di persone nella lotta per la democrazia e per il sostegno ai diritti umani, così come per il sollievo dell’umana sofferenza. Ha anche giocato, tuttavia, un ruolo nelle guerre e nei conflitti.

La Primavera Araba
L’Egitto è uno dei paesi presi in esame da Shortt: qui la caduta dell’ex presidente Hosni Mubarak non ha portato alcun sollievo alle difficoltà dei cristiani locali.
Dopo aver documentato un ampio numero di casi di persecuzione negli anni precedenti alla Primavera Araba, Shortt descrive vari episodi di anti-cristianesimo, seguiti dal rovesciamento del governo in Egitto.
In un altro capitolo Shortt analizza la situazione in Iraq, affermando che poche popolazioni cristiane hanno sofferto quanto quelle irakene degli ultimi anni. Le tribolazioni hanno portato a un esodo di cristiani, il cui numero in Iraq è passato da 1,2 milioni a meno di 200mila.
Sarebbe sbagliato pensare che il regime di Saddam Hussein proteggesse i Cristiani, ha precisato l’autore, dal momento in cui i Cristiani hanno sofferto discriminazioni e costrizioni alla fuga negli ultimi decenni. La situazione, comunque, è peggiorata drammaticamente dopo l’invasione americana del 2003, con il clero e i fedeli cristiani laici nel mirino dei terroristi.
All’inizio del 2011 non meno di 63 chiese sono state bombardate o invase dal 2003.
In Occidente c’è molta ignoranza sulla ricca storia cristiana della regione, ha commentato Shortt. Per molti secoli l’Iraq ha avuto una comunità cristiana con una ricca vita culturale e un ampio numero di chiese e monasteri ma le prospettive sono ora molto tristi per i Cristiani.

Autorità
La Turchia, il Pakistan, la Nigeria e l’Indonesia sono gli altri paesi presi in esame nel libro, ma Shortt dà anche uno sguardo a nazioni non a maggioranza musulmana. Elenca, ad esempio, i molti atti di persecuzione patiti dai cristiani in India e le restrizioni da parte del duro governo cinese.
Shortt, inoltre, esamina brevemente ulteriori paesi come Cuba e Venezuela. In relazione a Cuba, nota che una somiglianza tra i governi musulmani e il comunismo è la negazione di fonti di autorità alternative.
La situazione dei Cristiani è migliorata negli ultimi anni, ma Cuba non può ancora essere classificata come una società aperta.
Nelle sue conclusioni Shortt aggiunge che le ingiustizie commesse contro i Cristiani sono scarsamente riportate dalla stampa. Ciò è dovuto in parte al pensiero dominante che considera la religione come una grande causa di conflitto, più che ad altri fattori.
Poiché molti ritengono la religione sia una causa di simpatia irrazionale per i comportamenti violenti, poiché la difficile situazione dei credenti è ignorata. Shortt afferma anche che in alcune ex colonie occidentali, il Cristianesimo è visto da alcuni come un derivato del potere imperiale e che in paesi come il Pakistan i Cristiani sono visti come una sorta di anomalia.
Shortt conclude nel segno di un cauto ottimismo, esprimendo la speranza che, così come il Cristianesimo si è evoluto, lo stesso potrà avvenire per l’Islam. In che misura ciò avverrà è difficile dirlo, ammette l’autore, concludendo però con l’affermazione della virtù della speranza. Essa è una virtù di cui molti cristiani avranno bisogno in dosi sempre più ampie, viste le circostanze sempre più difficili.

[Traduzione dall’inglese a cura di Luca Marcolivio]

26 novembre 2012

Desde la mision!...

Ed eccoci a novembre … la prossima comunicazione sarà per NATALE! A pensarci mi vien da ridere perché la primavera australe avanza a grandi passi e la si può vedere in una vegetazione molto ricca di colori… Non mi mancherà, certamente, la neve o la nebbia degli inverni italiani, ma mi dovrò addomesticare alle sorprese… che mi offre l’altra parte del mondo!
É proprio vero: “paese che vai… SORPRESE CHE TROVI!” Benissimo, poi vi racconterò.
Per questa volta mi fermo su alcune cose belle da condividere.

Prima notizia importante é quella dell’indimenticabile condivisione di alcuni giorni con Suor Marija Peče (Slovena), visitatrice e delegata della Madre, per condividere la nostra vita comunitaria per alcuni giorni.                                 
Al suo arrivo, la prima sorpresa (poco gradita), fu proprio alla R Í A. Al grande e importante momento dell’accoglienza tutto pronto: Don Bosco (prof. Claudio nei panni di don Bosco); tutti gli alunni schierati nel percorso degli 800 metri per arrivare alla scuola; servizio d’ordine in perfetta uniforme; insegnanti e Suore, ma c’era anche il VENTO, più forte del solito, da far volare il cappello al povero don BOSCO! Nessuno aveva invitato il vento, ma voleva farsi sentire subito! Infatti non è stato possibile accendere nessuna torcia, ma la gioia e i canti di tutti i partecipanti è stata più forte del sibilo del vento che in quel giorno era stimato di 110 km orari!
Nei pochi giorni di permanenza di Sr. Marija con noi non poteva mancare un’esperienza comunitaria: visitare una meraviglia (che solo questa terra ha come regalo del Buon Dio) - la gita comunitaria al glaciale “Perito Moreno”. La realizzazione è avvenuta nella domenica ed una famiglia ha messo a disposizione della nostra comunità la propria auto, e tutto quanto era necessario per vivere una lieta giornata e  per  condividere  uno  spettacolo dichiarato “patrimonio naturale mondiale! Una delle 7 meraviglie del mondo”  e perciò ho avuto la fortuna di passare una giornata a CALAFATE-PERITO MORENO GLACIAL.
Anche Madre Mazzarello ha avuto la sua apparizione: era l’allieva Luciana della seconda media, orgogliosa di vestire come Madre Mazzarello. Nel saluto, che tutta la scolaresca ha rivolto a Sr. Marija, era presente Lei, con un lettera… scritta per i giovani di oggi.
Altro episodio simpatico è avvenuto a San Benito, che come ricorderete sono i due container che accolgono i fedeli per la messa domenicale. Padre Juan, al termine della Messa di tre settimane fa, mi chiese un canto di Maria Ausiliatrice in italiano, da insegnare per la conclusione della Messa di Prima Comunione che celebreremo domani. Si trattava di andare un po’ indietro con la memoria. E presa così di sprovvista cantai il primo che mi venne in mente: AUSILIATRICE, VERGINE BELLA, DI NOSTRA VITA TU SEI LA STELLA!.... Piacque a tutti e me lo fece ripetere per la seconda volta: tutti attentissimi oltre misura, ma dal fondo del container arriva un niñeto mas pequeño, di circa tre anni, che, con le mani ai fianchi mi si avvicina… si ferma a due passi da me e mi guarda strabiliato tra l’attonito e il sorpreso, ed anche un po’ preoccupato  come a dirmi “ma sai che siamo a San Benito? Questa che sento non è la mia lingua … e come faccio a comprenderla?”. Nessuno si era accorto, ma per me è stato uno stupendo intervento … mas mediale!
Ora il canto viene ripetuto di domenica in domenica e debbo dirvi che ho un simpatico pubblico di un’età variabile: dai 3 mesi agli 85 anni: l’età di Padre Juan! Imparano velocemente e Nina con la chitarra e Andrea con la pianola suonano già con la musica!
Le 29 allieve che, nella nostra scuola, terminano il loro ciclo scolastico della terza superiore, hanno invitato le Suore alla conclusione del loro giorno di ritiro effettuato nella Parrocchia di San Giorgio. Sono consapevoli che sono ad un passo importante della loro vita. Molte di loro sono iscritte all’università di Río Gallegos “UNPA” Università Patagonia Australe. Altre, per il curriculum che non trovano in città andranno altrove. Ma tutte sono in buone mani perchè sono affidate alla Vergine Maria. Infatti, al termine della Messa, proprio le Suore, hanno consegnato una medaglia benedetta a ciascuna appuntandola sul petto.
Mentre sto chiudendo questa mia chiacchierata, seguo in diretta dall’ECUADOR il rito di beatificazione di Sr. MARIA TRONCATTI fma MISSIONARIA SALESIANA che ha speso la sua vita per gli shuar e i coloni della selva amazzonica. Il nostro cugino missionario Padre Ambrogio Sainaghi sdb, era presente alla Messa che si trasmetteva in MACAS e in un flash ho potuto vederlo “in diretta” mentre baciava la Mensa Eucaristica!  Incredibile ma vero! Lui pure fu testimone della carità operosa di questa grande Beata negli anni 1946-1968. Ricordo quando ci parlava della selva amazzonica, dei shuar e di Sr. Maria, al suo ritorno in Italia, nelle brevi soste presso i suoi familiari. Di quanto dobbiamo ringraziare il Signore!!! Aiutatemi anche voi.
Alla prossima… un beso y un abrazo muy fuerte
Sr. Paola feliz FMA

RICONCILIAZIONE, UNA CONFERENZA “PER SUPERARE LE DIVISIONI”


Si svolgerà a Juba nel prossimo mese di aprile la prima conferenza nazionale di riconciliazione indetta dal governo per superare antiche divisioni e contrasti che alimentano violenze e sospetti tra le diverse comunità. Lo riferiscono i mezzi di informazione secondo cui l’iniziativa prevede la partecipazione di centinaia di delegati provenienti dai dieci stati che compongono il paese.
“Il Sud Sudan deve riconciliarsi con il suo passato” ha detto inaugurando i lavori della prima riunione preparatoria, il vicepresidente Riek Machaar Teny, “e suoi cittadini accettare quello che è stato, non necessariamente dimenticando la storia, ma venendo a patti con essa”.
All’incontro – il primo di una serie fino al mese di aprile – erano presenti rappresentanti politici e esponenti delle associazioni locali e organizzazioni non governative internazionali.
Dopo l’indipendenza Machar è stato il primo politico di spicco ad avviare un processo di riconciliazione, presentando le sue scuse per le violenze e i dissidi che hanno contraddistinto la lunga scissione tra comunità Nuer e Dinka-Bor all’interno del Movimento popolare per la liberazione del Sudan (Splm) negli anni della guerra civile.
Nel 1991 i Nuer guidati da Machar dichiararono uno scisma dal movimento guidato dall’allora leader John Garang de Mabior per rivendicare la piena indipendenza delle regioni meridionali da Khartoum. In quello stesso anno nella città di Bor si consumò uno dei peggiori massacri della storia recente del Sud Sudan in cui circa 85.000 civili furono uccisi e altrettanti feriti in due mesi di combattimenti tra le due comunità. La riconciliazione avvenne nel 2002.

I migranti: una ricchezza per la Chiesa italiana


Intervista a monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes che celebra il suo 25° anniversario - di José Antonio Varela Vidal

ROMA – Si è concluso l’Incontro Nazionale dei direttori diocesani e dei collaboratori della Fondazione Migrantes, l'organismo costituito dalla Conferenza Episcopale Italiana che da 25 anni assicura l'assistenza religiosa ai migranti, ai rifugiati e a tutti coloro che sono costretti a partire e vivere in paesi stranieri per lavoro. Per approfondire meglio questa importante realtà e il compito svolto dalla Fondazione, ZENIT ha incontrato il direttore generale, monsignor Giancarlo Perego, per l’intervista che riportiamo di seguito.

***

Come valuta i 25 anni della Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana?
Monsignor Giancarlo Perego: Sono 25 anni di lavoro pastorale sul tema della migrazione e della mobilità delle persone. Sono 25 anni di assistenza e aiuto ai migranti italiani all’estero, circa quattro milioni attualmente, insieme a numerosi sacerdoti trasferitisi per seguire queste comunità. Così come ai migranti venuti in Italia in questi anni, il cui numero è cresciuto considerevolmente, raggiungendo e superando i 5 milioni, seguiti anch’essi da oltre 3.000 preti stranieri presenti in Italia. Sono 25 anni anche di attenzione al mondo di rifugiati, in particolare ricordiamo tutti gli sbarchi dello scorso anno con 62.000 rifugiati del nord di Africa. O verso il mondo dello spettacolo viaggiante, quello circense, dei fieranti, del teatro di strada, o verso il mondo della minoranza rom e sinti.

Per molte gente ancora oggi non è facile la convivenza tra migranti e cittadini. Cosa si sta facendo in questa direzione?
Monsignor Giancarlo Perego: Il tema di questo convegno è proprio l’educazione all'incontro. Si sa che quando s’incontra una persona che non si conosce, che viene da un altro paese il primo atteggiamento è la paura, la diffidenza. Le nostre comunità, le nostre città, le nostre scuole e parrocchie devono diventare luoghi d’incontro, per aiutare effettivamente a superare questa paura, per creare occasioni nuove di famiglia, di formazione, di storia civile, di partecipazione e di responsabilità politica. Concretamente il nostro lavoro è sopratutto un lavoro educativo che aiuta a far superare la diffidenza verso lo straniero che caratterizza ancora sei italiani su dieci.

Da 25 anni a oggi, quale sono le differenze che hanno cambiato il tema dei migranti e quali rimangano ancora?
Monsignor Giancarlo Perego: Nel 1987, quando è nata la Fondazione Migrantes, l’Italia era un paese che stava conoscendo l'immigrazione. Da allora, da quando cioè l'immigrazione riguardava poche centinaia di persone, si è arrivati ad oggi dove si parla di un fenomeno che interessa oltre cinque milioni di persone. Il cammino dell’immigrazione, quindi, lungo questi 25 anni, ha incrociato il cammino dell’Italia che è diventata una nazione sempre più multietnica, dove vivono persone di 198 nazionalità diverse. In questi anni, inoltre, abbiamo cercato di fare in modo che all’interno del dialogo fra Chiesa e mondo, il tema della migrazione e della mobilità fosse un tema centrale, sopratutto dal punto di vista di una pastorale integrale, in relazione agli altri uffici, alle altre realtà, alla pastorale giovanile, familiare, del lavoro e via dicendo. Il tema della migrazione infatti é un tema trasversale, non un tema collaterale alla pastorale ordinaria.

Lei ha dichiarato che la presenza dei migranti cattolici di altri paesi ha arricchito la Chiesa italiana. In che modo?
Monsignor Giancarlo Perego: L'Italia oggi vede una Chiesa cattolica differente perché in questi anni sono arrivati un milione di cattolici da oltre 100 paesi del mondo. Questa differenza è diventata un valore aggiunto e tante volte anche uno stimolo alle nostre comunità un po’ stanche, demotivate, a testimoniare quotidianamente la propria fede, vedendo cristiani provenienti da paesi dove non c'e la libertà religiosa, dove si vive ancora il martirio.

Il prossimo fine di settimana avrete un incontro molto importante...
Monsignor Giancarlo Perego: Si, è l’incontro del mondo dello spettacolo viaggiante, dei circensi, del teatro di strada popolare con il Papa. È un’occasione per avvicinare al centro della cristianità questo mondo che tante volte è al margine. Quasi 7.000 persone saranno ricevute in Udienza straordinaria dal Santo Padre e il giorno prima faranno una festa in Piazza del Popolo e in altre piazze della città di Roma, come segno della loro presenza nella città, ma anche nella Chiesa come parte viva delle nostre comunità.

Alcuni giovani italiani sono andati all’estero, ma non hanno trovato ciò che volevano, non vivono bene ecc. Cosa si sta facendo per loro?
Monsignor Giancarlo Perego: Purtroppo molto spesso si verifica che nei carceri delle grandi città europee ci sono molti giovani italiani. Questo é un problema che noi più volte abbiamo riscontrato e che cerchiamo di seguire attraverso i cappellani che vivono all’estero, soprattutto quelli che operano nei carceri. E stiamo lavorando anche attraverso l’informazione rivolta soprattutto ai giovani universitari che sempre più studiano nelle università estere, affinché trovino nelle nostre comunità un punto di riferimento.

Se qualcuno si dovesse trovare in situazioni di difficoltà, lei suggerirebbe di tornare a casa?
Monsignor Giancarlo Perego: Certamente, quando si è in difficoltà, piuttosto che rimanere in una situazione d’illegalità, di sfruttamento, é molto meglio rientrare nella propria patria.

23 novembre 2012

A comunicação é a alma da animação missionária


(Brasília – Brasil) - Articular Missão e comunicação é o objetivo do 2º Encontro de Formação Missionária para Coordenadores, Animadores e Assessores de Comunicação dos Conselhos Missionários Diocesanos e Paroquiais (Comidis e Comipas) que acontece na sede do Centro Cultural Missionário (CCM) em Brasília (DF).

"Deus é comunicação que não se contém em si, mas se revela, sai para comunicar seu amor com toda a humanidade", afirmou, o assessor desta quinta-feira, 16, padre Estevão Raschietti, diretor do CCM ao refletir sobre teologia e espiritualidade da comunicação para o animador missionário. "Todo o mistério cristão é um mistério de comunicação e se Deus é Amor poderíamos dizer: Deus é comunicação", completou.
Ao falar sobre evangelização como comunicação, padre Estêvão lembrou que, "Missão é anunciar uma Boa Notícia e isso é comunicação. O conteúdo dessa comunicação é a comunhão com Deus: tirar as pessoas da condição do egoísmo. O missionário é por sua essência um comunicador, uma pessoa que toma iniciativa, que não espera um convite, que cria relações". Recordou ainda que a Palavra é a essência da comunicação. "A Palavra de Deus é criadora, viva e eficaz, é princípio, vida e ação. A obra sem a palavra é muda e a palavra sem a obra é vazia. Contudo, o testemunho autêntico tem certa prioridade sobre anúncio", ponderou o missiólogo para em seguida destacar a necessidade de se investir na comunicação como processo e diálogo.
Na opinião de padre Estêvão, o maior problema da Igreja hoje é que seu testemunho não está à altura do seu ensinamento. Na mesma direção, o assessor citou uma expressão do recente Sínodo sobra Nova Evangelização: "a forma mais efetiva de comunicação da fé permanece a partilha do testemunho de vida, sem o qual nenhum esforço mediático levará a uma efetiva transmissão do Evangelho". Por isso, "o testemunho e o anúncio são inseparáveis, mas testemunho vem em primeiro lugar", arrematou.
Participam do encontro 36 pessoas de várias regiões do país. Ana Maria Pereira da Silva, coordenadora do Conselho Missionário da diocese de Barra do Garças (MT) avalia que, "esse processo comunicativo é a missão propriamente dita. Não dá para conceber missão sem comunicação. Esse estudo nos ajuda a entender que nós não somos apenas aqueles que têm algo para dar, mas numa atitude dialogal, nos dispomos a receber, ouvir, partilhar com as pessoas onde vamos viver a Missão. Missão é sobretudo testemunho", destacou.
Para Maria Alice Mesquita de Oliveira da arquidiocese de Fortaleza (CE), "o curso ajuda a refletir e articular os temas no trabalho. Entendi que Jesus é a própria mensagem, o anúncio. Não posso me preocupar em ensinar, mas em primeiro lugar, preciso dar o meu testemunho para depois ser digna de transmitir a mensagem", avaliou.
Padre Estevão traçou ainda algumas considerações sobre a animação litúrgica e missionária como comunicação. "A comunicação é a alma da missão e da animação missionária, diz respeito ao conteúdo e ao jeito de ser, ao encontro e ao diálogo, ao anúncio e ao testemunho. A comunicação na animação missionária é desejar tornar a comunidade verdadeiramente missionária, colocando-a em contato com o mundo", concluiu.
Promovido pelo CCM e pelas Pontifícias Obras Missionárias (POM), o curso teve início nesta quarta-feira, 14, e se estende até domingo, 18.

AFRICA - “La regione sta attraversando una transizione complessa e dolorosa” affermano i Vescovi del Nord Africa


Mazara del Vallo - “Una transizione più complessa e dolorosa di quanto previsto solo un anno fa”. Lo affermano i Vescovi della CERNA (Conferenza Episcopale della Regione del Nord Africa) al termine della loro Assemblea Plenaria (che si è tenuta a Mazara del Vallo in Sicilia, vedi Fides 13/11/2012), descrivendo la situazione del Nord Africa alle prese con sfide di natura “religiosa, politica e socio-economica”, ad un anno dalla loro penultima riunione, del novembre 2011. “La crisi del nostro vicino del Sud, il Mali, la difficile ricostruzione della Libia, l’incertezza del processo di transizione in Tunisia sono dei segni evidenti” della complessa situazione nella quale si trovano i Paesi della regione, afferma il comunicato finale inviato all’Agenzia Fides.
Sul piano ecclesiale i Vescovi del Nord Africa notano: “le nostre Chiese sono modeste e fragili, la partenza di alcune comunità religiose insediate da molto tempo nel Maghreb e la mobilità sempre più rapida dei membri delle nostre parrocchie ci costringono a contare sempre di più sulla solidarietà delle altre Chiese e ringraziamo per la generosità delle diocesi che ci propongono dei preti Fidei Donum, e le congregazioni, specie africane, che scelgono di installarsi nella nostra regione”.
La scelta della Sicilia, “nel cuore del Mediterraneo”, per l’Assemblea della CERNA “sottolinea l’urgenza del dialogo delle culture, delle civiltà e delle religioni, tra le tre rive di questo mare”. Le popolazioni mediterranee, notano i Vescovi, si interrogano di fronte a problematiche come la guerra in Siria, la situazione nel nord Mali, l’estremismo di alcuni gruppi religiosi che intensificano le migrazioni forzate e rafforzano le paure reciproche. Per vincere la diffidenza reciproca, i Vescovi del Nord Africa portano ad esempio “la loro quotidiana esperienza della conoscenza reciproca, del dialogo di vita, del rispetto, dell’ascolto, dell’accoglienza e della condivisione”.

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