31 marzo 2014

Il premio internazionale “Ignazio Silone” alla salesiana suor Laura Girotto

Il centro studi “Ignazio Silone” ha annunciato che la giuria del Premio internazionale intitolato allo scrittore abruzzese Ignazio Silone (1900-1978) sarà conferito il 5 aprile prossimo a suor Laura Girotto, fondatrice della missione Kidane Mehret di Adwa, alle pendici delle montagne etiopiche.
Il Premio, giunto alla sua XIX edizione, vuole quest’anno gratificare, in piena rispondenza all’ideale cristiano siloniano, l’eroica figura della missionaria salesiana  autrice, con il giornalista Niccolò d’Aquino, del volume “La tenda blu. In Etiopia con le armi della solidarietà” (Paoline, Milano 2011, pp. 156), i cui proventi sono completamente devoluti all’associazione “Amici di Adwa Onlus”  che sostiene la missione di Zidane Meheret.
Suor Girotto, ricevuta la notizia, ha commentato: “Con grande onore e gratitudine accolgo questo importante Premio, assegnato alla mia persona ma che idealmente voglio condividere con gli innumerevoli amici che da anni collaborano con la missione e che hanno realizzato un progetto che all’inizio sembrava impossibile”; e ha proseguito: “Occorre un enorme coraggio per essere aperti alla speranza. Forse è richiesto un pizzico di follia, perché sperare è credere nella possibilità dell’impossibile”. Evidente il richiamo al magistero di papa Francesco e alla sua bellissima frase “Non lasciamoci rubare la speranza!”.  
La cerimonia di consegna del Premio Silone si svolgerà a Pescina (AQ), città natale dello scrittore, il prossimo 5 aprile 2014, a partire dalle 10, presso il complesso monumentale trecentesco del Teatro San Francesco, nel quale hanno sede il Centro Studi e il Museo Ignazio Silone, alla presenza dell’onorevole Giovanni Chiodi, presidente della Giunta della Regione Abruzzo.
Il giorno precedente, venerdì 4 aprile, alle 18, nella “Sala Conferenze” dello stesso Teatro S. Francesco, si terrà un approfondimento sulla figura dell’autore di “Fontamara”, dal titolo “Gli strani incontri di Silone”.


29 marzo 2014

Suor María del Socorro ZULUAGA RAMÍREZ

Carissime sorelle, nella casa di riposo “B. Maria Troncatti” di Quito Cumbayá (Ecuador), il 24 marzo 2014 il Signore ha chiamato a vivere nella beatitudine dei santi la nostra cara sorella Suor María del Socorro ZULUAGA RAMÍREZ. Nata a El Santuario (Colombia) il 2 ottobre 1927. Professa a Cuenca (Ecuador) il 5 agosto 1953. Appartenente all’Ispettoria Ecuadoriana “Sacro Cuore”.
María era la quarta di sette fratelli e sorelle di una famiglia di agricoltori. I genitori, gente onesta e laboriosa, erano persone di fede semplice e profonda in Dio e nella Madonna. Alle tre figlie posero il nome di Maria: María del Rosario, María del Socorro e María de los Dolores tanto era grande la loro devozione mariana. Visse l’infanzia in un ambiente di scarsi beni materiali, ma ricco di affetto, cordialità e dove regnava il rispetto reciproco e l’amore al lavoro. Nella famiglia il Signore occupava il primo posto. Da adolescente frequentò un centro catechistico dove imparò a fare la catechesi, attività apostolica che le piaceva molto svolgere.
A 17 anni conobbe Madre Laura Montoya, fondatrice delle Suore dette Lauritas ora canonizzata, ma non venne accolta nel suo Istituto a causa della precaria salute. María cercò allora un direttore spirituale affinché l’aiutasse a discernere la sua vocazione. I genitori compresero che per diventare religiosa, aveva bisogno di formazione e quindi la iscrissero al collegio “María Inmaculada” diretto dalle FMA di El Santuario. Venne accolta con affetto e condivideva con gioia la vita delle suore. Lei però voleva essere missionaria. Un giorno giunse alla comunità suor María Bernardini ex Ispettrice dell’Ecuador e fervorosa missionaria la quale l’accolse nell’Ispettoria dell’Ecuador e iniziarono subito i preparativi per il viaggio.
Vi giunse nel mese di dicembre del 1948. A Cuenca iniziò il cammino formativo ed ebbe come maestra suor Francesca Casalone e come assistente suor Inés Pegoraro. Il periodo del Noviziato fu per lei bellissimo per le attività e per la formazione ricevuta, solo desiderava consacrarsi totalmente al Signore. Purtroppo durante il 2° anno di Noviziato contrasse una malattia piuttosto rara; pregarono intensamente don Bosco e fu guarita. Era volontà di Dio che divenisse FMA grazie all’intercessione di don Bosco.
Dopo la professione fu maestra nel collegio “María Auxiliadora” di Cuenca. Svolse questa missione per più di 40 anni e con senso di responsabilità, soprattutto con le alunne del primo e secondo grado. Lavorò nelle case di Cuenca, Amaguaña e Sigsig. Di questa casa conservava in cuore una forte esperienza mariana vissuta nel Santuario di María Auxiliadora con il rosario dell’aurora, le novene e le feste. Poi dal 1977 passò a Chunchi, Julio Andrade, Quito “María Mazzarello”, e nel 1996, a Quito “Laura Vicuña” dove si dedicò all’assistenza e all’accompagnamento educativo delle bambine in situazione di disagio.
Ovunque suor María si distinse come educatrice tutta donata alla missione con cuore salesiano. La sua vita fu intessuta di semina e di raccolto, attività e fatiche, entusiasmo, lavoro e preghiera. Seppe realizzare il suo sogno missionario in terra ecuadoriana, dove lascia un’impronta di semplicità, di pace, di sacrificio, di affetto per le consorelle, per le alunne e per tante persone che l’hanno avvicinata. Era trasparente nel suo modo di agire e allegra nel donarsi agli altri. Nell’apostolato era sempre presente e assisteva con amore le alunne. Diceva che “con l’assistenza si evitano molti contrattempi ed errori, si guadagna la fiducia e l’apprezzamento di tutti”. Fu un’autentica Figlia di Maria Ausiliatrice!
Nel mese di febbraio 2014 passò alla casa “B. Maria Troncatti” di Quito perché bisognosa di cure. I suoi ultimi giorni furono di molta sofferenza a causa di gravi disturbi della salute, nonostante le cure e l’attenzione medica. Il Signore la trovò preparata per l’incontro con Lui e per ricevere il premio eterno.
Grazie, cara suor María, per tutto quello che hai donato all’Ispettoria, per la tua testimonianza viva di fede, speranza e carità; per il tuo “sì” al Signore fino alla fine. Intercedi presso il Padre e presso l’Ausiliatrice affinché ci ottengano vocazioni decise e generose, dedite alla causa del Regno di Dio.
Offriamo per lei generosi suffragi per il suo riposo eterno.
L’Ispettrice
Suor Beatriz Navarro

28 marzo 2014

Lectio Divina - Ciclo ‘A’ 4º. Domingo de Cuaresma (Jn 9, 1-41)

Hoy leemos el encuentro con el ciego de nacimiento. Este pasaje nos ayuda a comprender quién es Jesús y quiénes somos nosotros. Es el domingo de la  “Luz”, y de la Alegría”. Con la mirada fija en la Cruz gloriosa, en la cual fue entronizada la Luz que da la vida verdadera, bautizados y catecúmenos continuamos  el camino cuaresmal:
Para vivir más a fondo este encuentro de Jesús con el  “Ciego de Nacimiento”, se nos ofrecen unas claves de lectura.  El texto tiene mucho colorido: hay signos, cambios de lugares, numerosos personajes (Jesús, discípulos, ciego, vecinos, parientes, fariseos, autoridades  judías), sentimientos fuertes y encontrados, diferentes reacciones. Pero lo más importante es que es un relato que nos embarca en un proceso que va desvelando a poco a poco el misterio.

Seguimiento:

Leemos lentamente este pasaje distinguiendo cada uno de los pasos que se dan en siete episodios:

Primer episodio: Jesús va al encuentro del ciego y lo sana (9,1-7).
Segundo episodio: El sanado se encuentra con sus familiares y conocidos (9,8-12).
Tercer episodio: El sanado es llevado donde los fariseos (9,13-17).
Cuarto episodio: Las autoridades judías le toman la información a los padres del sanado (9,18-23).
Quinto episodio: El sanado es entrevistado por segunda vez por los fariseos (9,24-34).
Sexto episodio: Jesús va al encuentro del sanado por segunda vez (9,35-38).
Séptimo episodio: Encuentro de Jesús con los fariseos (9,39-41).

I. LEER: entender lo que dice el texto fijándose en cómo lo dice

El encuentro de Jesús con un ciego-mendigo, es narrado en una historia extensa y rica de detalles, es la explicación de cómo actúa Jesús, “Luz del Mundo”.
“Yo soy la luz del mundo, el que me siga no caminará en la oscuridad, sino que tendrá la luz de la vida” (Juan 8,12).
Jesús es luz esplendorosa que orienta el sentido de la vida de todo hombre en la dirección del proyecto de Dios: Desde el principio Él  dice: “Mientras estoy en el mundo,  soy luz del mundo” (9,5). Esta “luz” vino al mundo y permanece en el mundo (como lo indica el texto griego). “En medio de ustedes está uno a quien no conocen” (Jn 1,26). La “luz” se ha hecho presente de manera escondida en la encarnación de Jesús, y hay que descubrirla.
¿Por qué se le da tanta importancia a la luz?  ¿Por *qué se plantea un proceso?
En el pensamiento bíblico, lo primero en ser creada es la “luz” (ver Génesis 1,3) y ésta está estrechamente relacionada con la “vida” (cuando no hay “agua”, y cuando  no hay “luz”,  no hay vida).  La “luz” aparece en la Escritura como símbolo de salvación (“El Señor es mi luz y mi salvación”, Salmo 27,1). Se afirma que Dios es luz (“Dios es luz, y en Él no hay tiniebla alguna”, 1 Juan 1,5) y en su luz vemos la luz (Salmo 35,10).
La venida de Jesús al mundo se hizo acontecimiento.  Así lo anuncia el prólogo del evangelio de san Juan: “En ella, la Palabra creadora, estaba la vida y la vida era la luz de los hombres, y la luz brilló en las tinieblas y las tinieblas no la  vencieron” (1,4-5). Esta Palabra –Jesús- “era la luz verdadera que ilumina a todo hombre que viene a este mundo” (1,9).
La “luz” no sólo genera vida, sino que la orienta, (el equivalente a lo que hoy llamamos tener un “proyecto de vida”). Se comprende que la obra de Jesús no sólo sea la revitalización de las personas (curaciones.) sino también su orientación mediante itinerarios bien definidos.
Jesús - Verbo Encarnado- viene a  para que veamos mejor quién es Él; igualmente para que veamos quiénes somos, de dónde venimos y en qué dirección está la plenitud de nuestra vida. Solamente quien se deja iluminar por Jesús se hace su discípulo y vive en comunión con Él –en una relación de conocimiento y de profunda entrega,  y  adoración.
El relato de Juan 9,1-41 se desarrolla en siete episodios. A través de ellos –notémoslo bien- se va describiendo toda una dinámica relacional (entre los diversos actores) que  traza claramente el itinerario de la fe bautismal.
El ciego-mendigo aparece en todos los episodios, excepto en el cuarto. En cambio, Jesús dialoga con el ciego-mendigo solamente dos veces: en el primero – el de la curación - y en  el penúltimo – antes de la confesión de fe.
Luego, después de la curación, Jesús desaparece del escenario. Ocurre entonces, en el entretanto, un camino de progresivo descubrimiento de su persona, por parte del que había sido ciego.
Es curioso, Jesús no está físicamente, pero en los labios del hombre sanado comienzan a escucharse continuas referencias a Él. Cada vez va diciendo algo nuevo y más importante acerca de Jesús: primero ante sus familiares (episodio 2) y luego ante los fariseos (episodios 3 y 5), después de lo cual hay un intervalo en el que sus padres son interrogados por las autoridades (episodio 4). Las preguntas  formales terminan con  la expulsión de este hombre de la sinagoga (o sea, de la comunión de fe con sus hermanos  hebreos).
Progresivamente – dejando claro que el ver físico no lo es todo - el ciego de nacimiento va comprendiendo – o sea, abriendo los ojos del conocimiento- quién es aquél que lo ungió  con barro y lo mandó a lavarse a la piscina de Siloé. El suspenso culmina con el encuentro cara a cara con Jesús: por fin lo identifica plenamente y lo adora.
Al final (episodio 7), y ante aquellos que han expulsado al ciego de la comunión de fe con ellos, Jesús mismo relee el sentido salvífico del acontecimiento y da pistas concretas  tanto para los que creen, como para los que no creen en Él.
En todas estas etapas del itinerario del encuentro del ciego de nacimiento con Jesús “Luz  del Mundo”, encontramos tres elementos importantes: (1) El signo obrado sobre el ciego. (2) Los diálogos sostenidos, en diversos ambientes, por quien ha sido sanado y que lo  llevan a reconocer progresivamente la identidad de quien hizo el signo sobre él. (3) Las palabras reveladoras de Jesús.  
Podemos ver en el relato la manera concreta como un ciego de nacimiento es llevado hasta “ver” y “comprender”  quién es Jesús para expresarle su fe y, sumergirse en adoración.
Jesús sabía que “ni él pecó ni sus padres” (9,3a) y anunció que esa enfermedad “era  para que se manifestara la obra de Dios” (9, 3b). Anunció que Él era la luz del mundo,  y que era capaz de vencer las tinieblas del pecado.
El relato también contiene una dolorosa paradoja: en la medida que el sanado va viendo claro, los que lo rodean –a la inversa- van apareciendo sumergidos en la más terrible de las tinieblas. Entonces, ante la “Luz” de Jesús unos se vuelven videntes y otros se vuelven ciegos. Como dice el mismo Jesús en la conclusión: “He venido a este mundo: para que los que no ven, vean; y lo que ven, se vuelvan ciegos”  (9,39).

II. MEDITAR: aplicar lo que dice el texto a la vida

La primera palabra que aparece en el texto es el verbo “ver”: Jesús “vio, al pasar a un nombre ciego de nacimiento” (9,1). De esta manera, tan sencilla pero clara, comienza el encuentro de Jesús con este hombre.  
Jesús “vio” al ciego de nacimiento y los discípulos también. Pero lo curioso es que Jesús y los discípulos no vieron lo mismo: Los discípulos vieron a un ciego, y por detrás del ciego vieron el “pecado” (-enfermedad; viendo por detrás al Dios garante de retribución). Jesús vio a un ciego, mas no vio en él el castigo.
Los discípulos le preguntan al maestro, por qué su ceguera, “¿Quién pecó, él o sus padres?”.
¿Quién es el responsable de esta situación? Los discípulos veían una relación entre enfermedad y el castigo por el pecado, así se pensaba en tiempos de Jesús. Aún hoy hay quien dice: este es  “castigo de Dios”.
¿Somos conscientes de que nuestro pecado nos enceguece, impidiéndonos el encuentro revelador con Cristo Jesús?
Esta “obra” misericordiosa de Jesús con el ciego se realiza a partir  acciones significativas y nos aporta dos novedades dentro del evangelio: Jesús realiza tres acciones que el precisa Juan cuenta con detalle lo sucedido (Jn  9,6):   “escupió en tierra”,  “hizo barro con la saliva” y le“untó con el barro los ojos del ciego”. El ciego no permaneció  como actor pasivo, Jesús le pidió su participación, quiso que él hiciera algo. Él, confiando en la palabra de Jesús: va,  se lava y  vuelve viendo.
¿Qué hemos hecho para  dejar la ceguera y gozar la alegría de ver a Jesús, de vernos, de ver con claridad nuestro derredor? El verdadero discípulo es aquel que, en comunión de vida con Jesús – en una relación conocimiento y profunda entrega de adoración- “le sigue. La iluminación se da en la medida en que se “escucha” a Jesús y se le sigue.  ¿Somos de esos discípulos?
Jesús va al encuentro del ciego ya sanado (9,35-38). Esta es la cumbre del relato. Cuando el ciego volvió de la piscina de Siloé, donde recuperó la vista, no encontró ya a Jesús. Por  declarar abiertamente quién es Jesús, este pobre hombre fue expulsado de su comunidad.
Encontrar… El ciego-mendigo de nacimiento queda desvalido, sin el apoyo de su comunidad de fe. Jesús entonces, por segunda vez, entra en acción: sale a su encuentro (el texto dice  explícitamente: “encontrándolo” (9,35). Los dos sostienen un breve pero intenso diálogo. El terreno se ha venido  preparando progresivamente. Vimos que aunque no lo “ve” físicamente, el que era ciego, ha aprendido a “ver” en la fe: sabe bien quién es Jesús.
¡Cuántas veces el Señor nos ha salido al encuentro! ¿Qué hemos hecho para aprovechar esos momentos? ¿Aprovechamos  su presencia? ¿La gozamos?
Reconocer…  Jesús se le revela al ciego como el “Hijo del Hombre”. No lo afirma de una vez, sino que lo lleva a descubrirlo con su pedagogía, Hace un diálogo que lo lleva a darse cuenta quién es y qué le pide: “¿Tú crees en el Hijo del hombre?” (9,35). Este título es profundo: el Hijo de Dios encarnado, Aquél que no ha venido a la tierra en el esplendor de la gloria (ver Daniel 7,13) sino en la humana sencillez,  como quien está a punto de ser exaltado en la Cruz (ver Juan 3,14; 6,35; 12,23.34).
Quizás no nos habíamos imaginado así a Jesús, sin embargo la fe nos lleva a acogerlo porque sabemos quién es y a qué ha venido, como Luz del mundo y quién se nos revela también hoy, como el que hemos visto, el que habla con nosotros.  ¿Aprovechamos ese interés por cada uno, esa cercanía, ese hablarnos personalmente? 
Adorar… El ciego  afirma que cree en Jesús (9,38a) – sellando así su reconocimiento.  Se postra ante él (9,39b), con un gesto de respeto y entrega;  admite estar ante la divinidad. Esta postración en el suelo, a los pies de Jesús, es el momento culminante de este encuentro salvífico. La fe se expresa exteriormente y el conocimiento se vuelve adoración prolongada.  Jesús ha sido para este hombre –que es nuestro modelo - luz y cada vez más luz. El ciego recobró la vista inmediatamente, pero la luz de la fe fue gradual: “no se” (9,12); “es un profeta” (9,17), “viene de Dios” (9,33); “Creo, Señor” (9,38).
El ciego de nacimiento nos invita a abrir los ojos, para seguir la misma ruta que Él siguió ante  Jesús de Nazaret, el Verbo Encarnado, que nos conduce hasta el Padre. Adorarlo. Darle todo nuestro ser, postrarnos llenos de agradecimiento porque Él es nuestra Luz y con Él podemos ver a Dios, vivir en su amistad y vencer la oscuridad de nuestro pecado.

III. ORAMOS nuestra vida desde este texto

Dios Buenos, como el ciego de nacimiento necesitamos hacer un proceso de fe para recuperar la vista.  Danos la fuerza de tu Espíritu para que demos los pasos necesarios y nos encontremos cara a cara  con tu Hijo Único, y Hermano nuestro en esta Pascua.
Que personal y familiarmente lo encontremos y dejándonos iluminar por su palabra,  demos testimonio con los hechos y las palabras a quienes estén todavía en la oscuridad, en la indiferencia, en la confusión. Que todos lleguemos a descubrir cómo actúas en nuestra vida. Que como ese hombre, al descubrir quién tu Hijo lo adoremos. ¡Así sea!



27 marzo 2014

AMERICA/BOLIVIA - Pastorale indigena, pastorale sociale e rilancio della Missione permanente: le priorità dei Vescovi

Cochabamba  – La Pastorale indigena, il coordinamento della pastorale sociale nelle diocesi, il rilancio della Missione Permanente e una prima agenda sul CAM 2018, sono i punti che tratteranno i Vescovi della Bolivia nella XCVII Assemblea Plenaria della Conferenza Episcopale (CEB) che inizia oggi, 27 marzo, e proseguirà fino al primo aprile nella città di Cochabamba. La nota pervenuta a Fides è stata inviata da Sua Ecc. Mons. Eugenio Scarpellini, Vescovo della Diocesi di El Alto e Segretario Generale della CEB.
Ad aprire i lavori saranno gli interventi di Sua Ecc. Mons. Oscar Omar Aparicio Céspedes, Vescovo castrense e Presidente della CEB, e di Sua Ecc. Mons. Giambattista Diquattro, Nunzio apostolico. Fra i momenti importanti di questo incontro, la Messa che si terrà domenica 30 marzo nella chiesa di San Pedro, che sarà concelebrata da tutti i Vescovi della Bolivia e durante la quale ci sarà il rilancio della Missione Permanente in tutte le diocesi del paese. Quindi si presenterà il documento contenente gli orientamenti pastorali per il periodo 2014-2018. 

25 marzo 2014

Mons. Oscar Arnulfo Romero, un predicatore "martire" (Seconda parte)

Ricordando il Servo di Dio e fu arcivescovo di San Salvador, ucciso il 24 marzo 1980 sull'altare mentre celebrava l'Eucaristia

2. Il ministro della Parola di Dio

– Un uomo nato per il ministero della Parola. Oscar Arnulfo Romero era venuto al mondo per essere l'uomo della Parola. Il suo sacerdozio è contrassegnato da un infaticabile lavoro di predicatore; questo ministero gli aveva procurato grande rispetto e popolarità nei diversi settori della società. Alla proclamazione del messaggio cristiano dal pulpito unisce l'apostolato della penna, nel settimanale diocesano o in altri periodici di provincia. Un posto a parte occupa la predicazione attraverso la radio: il suo programma giornaliero "La preghiera del mattino" attira l'attenzione di un numeroso uditorio. I suoi contemporanei ricordano con emozione le sue catechesi durante la trasmissione radiofonica della Messa domenicale del vescovo nella cattedrale di San Miguel. Erano i tempi in cui la Messa veniva celebrata in latino!

– Denunciare il peccato sociale. Il Vaticano II gli aprì prospettive nuove e stimolanti che egli integrò senza difficoltà nella predicazione, dando particolare rilievo al tema della Chiesa. Prova di questo sono le sue quattro lettere pastorali come arcivescovo di San Salvador, tutte dedicate alla Chiesa (Iglesia de la Pascua, 10 aprile 1977; La Iglesia, Cuerpo de Cristo en la historia, 6 agosto 1977; La Iglesia y las organizaciones populares, 6 agosto 1978; Misión de la Iglesia en la crisis del país, 6 agosto 1979). Però presto sopraggiunse la crisi, quando si tentò di applicare gli insegnamenti conciliari alla drammatica realtà dell'America Latina, realtà che i documenti di Medellín (1968) non esitarono a qualificare come "ingiustizia istituzionalizzata". Quasi contemporanea all'assemblea di Medellín sorge la teologia della liberazione. Le "riletture" di Medellín in chiave preminentemente sociologica, riempirono di inquietudine Mons. Romero, come si riflette in diversi suoi articoli, quando ricopriva la carica di Rettore del Seminario dell'arcidiocesi di San Salvador. 

3. Opera omiletica

– "Voce di chi non ha voce". L'arcidiocesi di San Salvador ha pubblicato le omelie di Monsignor Romero (Mons. Oscar A. Romero, Su Pensamiemto, I-VIII, San Salvador). L'opera completa consta di otto volumi e comprende i tre cicli liturgici. Le omelie di Mons. Romero hanno uno sfondo profondamente cristologico ed ecclesiologico. Frequentemente egli assegnava loro un titolo; divenne comune lo schema in tre parti, che egli chiamava "i tre concetti". Incontriamo un esempio nell'omelia della domenica del 7 gennaio 1978, che reca il titolo "Cristo, epifania dell'amore del Padre" e che egli sviluppa in tre parti: l'Epifania ci rivela una salvezza trascendente; l'Epifania ci offre una salvezza universale; la necessità della fede (cf Il suo Diario 97). Molto spesso nel suo Diario dà testimonianza delle idee chiave della sua predicazione e delle reazioni dell'uditorio. Uno dei casi più curiosi accadde la domenica 4 marzo 1979, quando si interruppe l'emissione di elettricità, cosa che impedì a Mons. Romero di commentare gli avvenimenti della settimana. Leggiamo nel suo Diario: "E dopo la Messa, data la benedizione, quando dissi che quanti volessero fermarsi avrebbero udito la parte relativa alle notizie e alle denunce, quasi tutta la cattedrale rimase al suo posto" (p. 135). Però forse la caratteristica più nuova della predicazione di Mons. Romero è la sua costante attenzione alla dolorosa problematica del paese in uno dei momenti più oscuri della sua storia. Di qui nacque giustamente l'appellativo di "Voce di chi non ha voce".

– Il "metodo". Il Diario dà frequenti informazioni sul metodo adottato per preparare l'omelia domenicale. Lo si potrebbe riassumere così: con la Bibbia in una mano e il giornale nell'altra. Un'ampia e profonda riflessione sui testi biblici, quasi sempre molto personale, si univa al lavoro di équipe con un gruppo di consiglieri che settimanalmente lo aiutavano a comprendere e a illuminare cristianamente l'intricata e vertiginosa storia di violenza che insanguinava la terra di San Salvador. Il risultato di questa compromissione radicale con il Vangelo e con la storia del suo popolo mutò l'omelia domenicale di Mons. Romero in un evento eccezionale nella storia della predicazione contemporanea. La sua voce chiara e vibrante risuonava nella cattedrale e nello stesso tempo raggiungeva, attraverso la radio cattolica, tutto il paese; la sintonia era così alta che a volte pareva si trattasse di una "catena nazionale" di radio.

– Che cos'è l'omelia per Mons. Romero. Come concepisce Mons. Romero l'omelia e il ministero profetico? "Omelia vuol dire il sermone semplice del pastore che celebra la parola di Dio per ripetere a coloro che stanno riflettendo, che questa parola di Dio non è una parola astratta, eterea, ma che è una parola che si incarna nella realtà in cui vive questa assemblea che sta meditando" (Omelia del 16 aprile 1978). Il predicatore è un profeta: "Profeta vuol dire che egli parla in nome di un altro... Nostra preoccupazione deve essere quella di rimanere eco fedele di questa voce di Cristo, l'unico che ha il diritto di parlare al popolo e che ne ha coscienza" (Omelia del 14 gennaio 1979). Spiega il suo modo di predicare persino a Paolo VI, che lo accoglie con benevolenza in udienza privata: "Io gli ripetei quale era precisamente il modo in cui io procedevo nella predicazione, annunciando l'amore, chiamando a conversione. Gli dissi che molte volte abbiamo ripetuto il suo messaggio della Giornata della pace: "No alla violenza, sì alla pace". Gli espressi la mia adesione irremovibile al Magistero della Chiesa. E che nelle mie denunce contro la situazione violenta del paese invitavo sempre alla conversione" (Il suo Diario, 21 giugno 1978, 51).
Questa fu la voce che la pallottola assassina che attraversò il suo cuore il 24 marzo 1980 pretese di ridurre al silenzio: "L'assassinio di Mons. Romero sarebbe l'ultima conferma della sua vera parola di profeta... Fecero tacere la sua voce per non dover udire l'appello alla conversione" (J. Delgado, Oscar A. Romero. Biografia, 177). 



24 marzo 2014

AMERICA/EL SALVADOR - I salvadoregni ricordano l’assassinio di Mons. Romero, in attesa della beatificazione

San Salvador – Migliaia di salvadoregni ricordano oggi i 34 anni dell'assassinio dell'Arcivescovo di San Salvador, Mons. Oscar Arnulfo Romero, avvenuto il 24 marzo 1980. Le celebrazioni commemorative sono iniziate già sabato 22 marzo, con un pellegrinaggio molto partecipato. La nota pervenuta all’Agenzia Fides da una fonte locale riferisce le parole del Vescovo ausiliare dell'Arcidiocesi di San Salvador, Sua Ecc. Mons. Gregorio Rosa Chavez, durante il pellegrinaggio: "A livello di Chiesa siamo molto vicini alla sua beatificazione, tutti i segnali indicano che tale data si sta avvicinando".
Il pellegrinaggio, organizzato dalla Fondazione Romero per commemorare l'assassinio dell'arcivescovo, è noto come "Pellegrinaggio delle luci", ed è ormai diventato una tradizione: percorre diverse strade di San Salvador: dalla Plaza Salvador del Mundo (dove c'è una statua di Mons. Romero) fino alla Cattedrale Metropolitana, nella cui cripta è sepolto. Anche quest’anno erano presenti più di 3.000 persone, tantissimi giovani, appartenenti alle organizzazioni cattoliche, studenti e gruppi sociali, così come molti cristiani arrivati da Centro America, Sud America, Stati Uniti, Canada e perfino dai paesi europei.
Il processo di beatificazione di Mons. Romero è stato aperto in Vaticano nel 1994 e, dopo un periodo di fermo, è stato riavviato nel 2013 da Papa Francesco. Mons. Rosa Chavez durante il pellegrinaggio ha detto: "Nel 2017 ricorrono 100 anni dalla nascita di Mons. Romero, siamo fiduciosi che prima di tale data lo avremo sugli altari".
Mons. Romero è ricordato per aver denunciato le ingiustizie commesse dal conflitto armato in El Salvador durato dodici anni (1980-1992), che ha lasciato 75.000 morti, 8.000 dispersi e 12.000 invalidi.


23 marzo 2014

Mons. Oscar Arnulfo Romero, un predicatore "martire" (Prima parte)

Ricordando il Servo di Dio e fu arcivescovo di San Salvador, ucciso il 24 marzo 1980 sull'altare mentre celebrava l'Eucaristia

In occasione della XXII giornata di preghiera e di digiuno istituita da Giovanni Paolo II per ricordare i missionari martiri, la figura di mons. Romero risulta quanto mai di richiamo e di attualità. Fissata in questo giorno in cui è avvenuto il martirio di mons. Romero, la “giornata” è un invito pressante a far memoria di tutti coloro che hanno accettato di vivere la suprema offerta della propria vita per la fede.
Per ricordare la forza della parola di mons. Romero abbiamo chiesto al prof. Manlio Sodi di mettere a disposizione di tutti i lettori di Zenit una breve ma preziosa “voce” apparsa nel Dizionario di Omiletica, edito per la terza volta in questi giorni dalle editrici Elle Di Ci e Velar.
Il contributo fu stilato da mons. Gregorio Rosa Chávez, attuale ausiliare e vicario generale dell’arcidiocesi di San Salvador, dove il 24 marzo 1980 mons. Romero fu ucciso durante la celebrazione dell’Eucaristia. Non si tratta di un missionario, certo, ma di un pastore che ha vissuto il suo ministero usque ad mortem, e la cui “voce” grida ancora a favore della giustizia e contro ogni forma di oppressione.

1. Profilo biografico

– Dati generali. Mons. Oscar Arnulfo Romero era nato il 15 agosto 1917 a Ciudad Barrios, diocesi di San Miguel, a nord est di El Salvador. Fu ordinato sacerdote a Roma, il 4 aprile 1942; ricevette l'ordinazione episcopale il 21 giugno 1970. Abbondano le testimonianze che mettono in rilievo il suo spirito di preghiera e di umiltà, il suo distacco dalle cose e il suo amore per i poveri. Dopo aver servito la Chiesa come vescovo ausiliare di San Salvador, succedette al primo vescovo di Santiago de Maria, diocesi che governò per poco più di due anni (dicembre 1974 - febbraio 1977). Il 22 febbraio 1977 prese possesso dell'arcidiocesi di San Sal­vador, in un ambiente sociale e politico estremamente convulso. Morì assassinato nella cappella dell'ospedale oncologico "La Divina Provvidenza", mentre, dopo aver terminato di pronunciare l'omelia in una Messa offerta per la madre di un giornalista, si preparava a offrire il pane e il vino. Un mese prima, nel corso degli esercizi spirituali che fece con diversi sacerdoti, nel venire informato che la sua vita correva pericolo, scrisse: "Un altro timore riguarda il rischio che corre la mia vita. Mi costa caro l'accettare una morte violenta, che in queste circostanze è molto possibile. Persino il Signor Nunzio di Costa Rica mi ha avvisato di pericoli imminenti per questa settimana" (Appunti del 25 febbraio 1980). Di fronte al pericolo imminente, Mons. Romero fa l'offerta cosciente della propria vita: "La mia disposizione deve essere quella di dare la vita per Dio, qualunque sia la fine della mia vita. Le circostanze, sconosciute, si vivranno con la grazia di Dio. Egli assistette i martiri e, se necessario, lo sentirò molto vicino nel consegnargli il mio ultimo respiro. Però, di molto più valore che non il momento di morire è consegnargli tutta la mia vita e vivere per Lui" (ib.).

– Conversione o evoluzione? Si è diffusa ampiamente l'idea che Mons. Romero si sia "convertito" ai poveri dopo l'assassinio del suo amico, il gesuita Rutilio Grande, occorso appena tre settimane dopo l'arrivo del novello arcivescovo alla sede di San Salvador. Questa è la tesi di uno dei suoi biografi (J.R. Brockman, La palabra queda. Vida de Monseñor Oscar A. Romero, San Salvador 1985), sostenuta anche nel film "Romero", in cui la figura del vescovo era impersonata dall'attore portoricano Raul Julia. Questa opinione non è condivisa da chi ha studiato più a fondo la sua vita e la sua dottrina (J. Delgado, Oscar A. Romero. Biografia,Madrid 1986) né da molti dei principali collaboratori e amici di Mons. Romero, incluso il suo successore Mons. Arturo Rivera y Damas. Un'opera recente (Z. Diez - J. Macho, "En Santiago de Maria me topé con la miseria". Dos años de la vida de Monseñor Romero, San Salvador 1995) cerca di dimostrare che la "conversione" di Mons. Romero iniziò nella diocesi di Santiago de Maria, quando scoprì la violenza brutale che schiaccia i contadini e la miseria che soffrono i poveri. Il vescovo attuale di Santiago de Maria – alla fine di un corso su Puebla realizzato a Medellin – dà testimonianza della sua sorpresa: "Quando ritornai da Medellin lo incontrai molto cambiato. Ora si poteva parlare con lui dei problemi politici e sociali del paese" (o.c., VII). Forse sarebbe più adatto affermare che in Mons. Romero non si ebbe propriamente una "conversione" ma una "evoluzione", come disse egli stesso all'autore di questo profilo quando gli pose espressamente la domanda in una intervista radiofonica. Una "evoluzione" nata da una passione che segnò sempre la vita dell'arcivescovo: scoprire i cammini di Dio e rispondere generosamente alle sue chiamate. È l'"evoluzione" naturale di chi vive in permanente "conversione", in totale apertura a Dio e ai fratelli.

– Il suo Diario. Per entrare nell'anima di Mons. Romero possiamo contare su uno strumento provvidenziale: il suo Diario personale. Lo pubblicò l'arcivescovo di San Salvador, nel febbraio 1990 (Su Diario, Arzobispado de San Salvador, 1990). In realtà Mons. Romero non scrisse il suo Diario, ma lo incise, notte dopo notte, su nastro magnetico. Vi narra, in serrata cronaca, alcune delle sue attività quotidiane, e commenta la vita della Chiesa e del paese. Sono, in totale, trenta audiocassette che raccolgono i due ultimi anni del suo ministero (dal 31 marzo 1978 al 20 marzo 1980). Questa è la fonte più sicura e affidabile per sapere chi era e cosa pensava il terzo arcivescovo di San Salvador. Esistono traduzioni del Diario in italiano (Oscar Arnulfo Romero, Diario, Ed. La Meridiana, Palermo-Molfetta 1991) e inglese (Archbishop Oscar Romero, A Shepherd's Diary, St. Anthony Messenger Press, Cincinnati-Ohio, Novalis-Montreal 1993); si deve aggiungere anche una selezione di testi in francese e tedesco (Oscar Romero, L'amour vainqueur. Testi scelti da James R. Brockman, Ed. du Cerf, Paris 1990;Journal de Oscar Romero, Ed. Karthala, Paris 1992; Oscar A. Romero, In meiner Bedrängnis, a cura di E.L. Stehle, Ed. Herder, Freiburg-Basel-Wien 1993). Per il nostro tema è particolarmente importante ciò che in questa opera postuma si riferisce al ministero della predicazione. Ci sono frequenti riferimenti all'omelia domenicale – che a volte dura più di un'ora – la quale, dopo aver spiegato il messaggio biblico, illumina, a partire dalla parola di Dio, la dolorosa storia del paese. 

21 marzo 2014

Lectio Divina - Ciclo ‘A’ 2º. Domingo de Cuaresma (Jn 4, 5-42)

En este tercer domingo de Cuaresma las lecturas nos invitan a fijar nuestros ojos y nuestra vida en Dios, quien es la fuente de la vida. Nuestro mundo tan materializado ha ido perdiendo el gusto por conocer a Dios. 
El punto de partida para la recta interpretación de la escena lo constituye la extrañeza de la samaritana con su motivación doble: el diálogo entre un hombre y una mujer, ya que los rabinos consideraban indecoroso hablar en público con las mujeres; y que éste tuviese lugar entre judíos y samaritanos, entre los que existían antiguas rencillas. Frente a estas dos causas de extrañeza llama consoladoramente la atención la libertad de Jesús frente a las categorías raciales y cultuales de sus contemporáneos.
El texto que meditamos es muy rico. Dios se hizo el encontradizo, en el momento y hora menos esperado. Jesús empezó a hablar con la Samaritana. El parte de lo sencillo y cotidiano, le pide un vaso con agua: “Dame de deber”. Le hace ver a la mujer que ella vale y mucho… que puede ser verdaderamente feliz. De ese encuentro, la mujer pecadora y despreciada se hace discípula misionera de Jesús.
Seremos capaces como la mujer samaritana de ir a proclamar que Jesús es el Mesías y que ha venido a salvarnos?

Seguimiento:

5. Jesús llegó a un pueblo llamado Sicar, en la tierra que el patriarca Jacob había dado a su hijo José.
6. Ahí se encuentra el pozo de Jacob. Jesús cansado por la caminata, se sentó sin más al borde del pozo. Era cerca del mediodía.
7. Una mujer samaritana llegó para sacar agua y Jesús le dijo: “Dame de beber:”
8. En ese momento se habían ido sus discípulos al pueblo a hacer compras.
9. La samaritana le dijo: “¿cómo tú, que eres judío me pides de beber a mí, que soy una mujer samaritana”. (Hay que saber que los judíos no se comunican con los samaritanos).
10. Jesús le contestó: “¡Si tú conocieras el don de Dios! ¡Si tú supieras quién es el que te pide de beber, tú misma me pedirías a mí y Yo te daría agua viva”.
11 Ella le dijo: “Señor, no tienes con qué sacar agua y este pozo es profundo. ¿Dónde vas a conseguir esta agua viva?
12. ¿Eres más poderoso que nuestro antepasado Jacob, que nos dio este pozo, del cual bebió él, su familia y sus animales?
13. Jesús le contestó: “El que beba de esta agua volverá a tener sed;
14- En cambio, el que beba del agua que Yo le daré, no volverá a tener sed. El agua que Yo le daré, hará en él manantial de agua, que brotará para vida eterna”.
15. La mujer le dijo: “¡Señor, dame de esa agua, para que no sufra más sed, mi tenga que volver aquí a sacarla!”
16. Jesús le dijo: “Anda a buscar a tu marido y vuelve acá”.
17. La mujer contestó: “No tengo marido”. Jesús le dijo: “Es verdad lo que dices que no tienes marido.
18. Has tenido cinco maridos, y el que tienes ahora, no es tu marido.”
19. Señor, contestó la mujer. “Veo que eres profeta.”
20. Nuestros padres siempre vinieron a este cerro para adorar a Dios. Y ustedes los
21. Jesús le dijo: “Creeme, mujer; la hora ha llegado para ustedes de adorar al Padre, pero no será en este cerro ni tampoco en Jerusalén.
22. Ustedes, samaritanos, adoran lo que no conocen, mientras que nosotros, los judíos, conocemos lo que adoramos: porque la salvación viene de los judíos.
23. Pero llega la hora, y ya estamos en ella, en que los verdaderos adoradores adorarán al Padre en Espíritu y en verdad.
24. Son esos adoradores a los busca el Padre. Dios es espíritu, por tanto los que lo adoran, deben adorarlo en espíritu y en verdad”.
25. La mujer contestó: “Yo sé que el Cristo está por venir. Él, al llegar, nos enseñará todo”.
26. Jesús le dijo: “Ese soy yo, el que habla contigo”-
27. En ese preciso momento llegaron los discípulos y se admiraron al verlo hablar con una samaritana, pero ninguno le preguntó para qué ni por qué hablaba con ella.
28. La mujer dejó ahí el cántaro y corrió al pueblo a decir a la gente:
29. “Vengan a ver a un hombre que me ha dicho todo lo que yo he hecho. ¿No será este el Cristo?
30. Salieron entonces del pueblo y fueron a verlo.
31. Mientras tanto los discípulos le decía: “Maestro, come”.
32. Pero Él les contestó: “Tengo un alimento que ustedes no conocen”.
33. Y se preguntaban si alguien le había traído de comer.
34. Jesús les dijo: “Mi alimento es hacer la voluntad del que me envió y llevar a cabo su obra.
35. ¿No dicen ustedes: Faltan cuatro meses para la cosecha? Pues bien, pues yo les digo: Levanten la vista y vean cómo los campos están amarillentos para la siega.
36. Ya el segador recibe su paga y junta frutos para la vida eterna; de modo que también el sembrador participa en la alegría del segador.
37. Y se verifica el dicho: Uno es el que siembra y otro el que cosecha.
38. Pues yo los he enviado a cosechar donde otros han trabajado. Otros han sufrido y ustedes se hacen cargo del fruto de sus sudores”
39. En este pueblo muchos samaritanos creyeron en él por las palabras de la mujer que decía: “El me descubrió todo lo que yo había hecho.”
40. Vinieron donde él y le pidieron que se quedara con ellos. Y se estuvo ahí dos días.
41. Fueron muchos más los que creyeron en él al oír su palabra. Y decían a la mujer: “Ya no creemos por lo que tú contaste. Nosotros mismos lo hemos oído y estamos convencidos de que éste es verdaderamente el Salvador del mundo”.

I. LEER: entender lo que dice el texto fijándose en cómo lo dice

Es importante considerar que los judíos no se trataban con los samaritanos…Ellos los despreciaban, porque después de la invasión asiria, habían quedado mezclados con sangre de colonos extranjeros. Por su parte, los samaritanos reaccionaron construyendo su propio templo en el monte Garizín, rivalizando con el de Jerusalén.
Fue creciendo el distanciamiento entre los dos pueblos. El año 128 a.C., los judíos destruyeron el templo samaritano. A su vez, en tiempos del procurador Coponio, siendo Jesús todavía un adolescente, los samaritanos consiguieron profanar el templo de Jerusalén esparciendo durante las fiestas de pascua huesos humanos.
Jesús sufrió en su propia carne el enfrentamiento, mutuo desprecio y odio que se tenían las dos comunidades.
En una ocasión fue rechazado por los habitantes de una aldea samaritana, sencillamente porque vieron que era judío y que iba a al templo de Jerusalén. Y los judíos lo insultaron, diciéndole «samaritano» porque se atrevía a criticar a los suyos y trataba de favorecer nuevas relaciones entre las dos comunidades.
Sin embargo, la actitud de Jesús, fue siempre la misma: ‘Derribar las barreras de enemistad que separaban a los dos pueblos, apelando a la fe en un mismo Padre de todos.
Por eso, Jesús en el diálogo con la mujer samaritana, no admitió una liturgia que separara a los hombres y los enfrentara entre sí. Él dijo: Los que dan culto verdadero han de hacerlo movidos por un espíritu de fraternidad y de verdad.
Dos grandes tradiciones culturales convivían por siglos. Dos culturas diferentes que configuraron dos modos de ser y dos sensibilidades colectivas.
Con frecuencia, lo que podría ser mutuo enriquecimiento y complementación, se convierte en fuente de conflictos, motivo de mutuo desprecio y enfrentamiento pernicioso para todos.
Concepciones puristas de la propia cultura, actitudes despectivas ante la cultura ajena, opciones políticas vividas con apasionamiento, están desgarrando la convivencia.
La reconciliación en nuestros pueblos pasa por una mutua valoración y apertura de uno a otro, un esfuerzo de mutuo enriquecimiento, evitando el dominio hegemónico, atendiendo de manera más cuidada, la que es más amenazada. ¿Seremos capaces de construir un único pueblo desde tradiciones culturales diferentes o caeremos una vez más en el enfrentamiento y la mutua agresión?

II. MEDITAR: aplicar lo que dice el texto a la vida

La escena se halla construida sobre dos principios teológicos: el judaísmo, con la natural inclusión del Antiguo Testamento, que encuentra su plenitud y complemento en Jesús y el agua utilizada para las purificaciones (Jn 2, 6; 3,5) que adquiere un nuevo sentido en Jesús, que es quien únicamente puede dar el agua viva, la salud, el Espíritu (Jn 7, 37-39). Estos principios teológicos se exponen mediante una doble contraposición: el agua sacada laboriosamente de un pozo y la regalada por Jesús y la superioridad de Jesús y del tiempo que él inicia sobre Jacob y lo que él significa.
Nosotros también, como el pueblo de Israel, estamos sedientos de Dios ¿Creemos que solo Él es quien nos puede dar la vida? ¿Vamos a su presencia seguros de que es quien nos quitará la sed de felicidad que todos llevamos dentro?.
Jesús habla del don de Dios (Jn 4, 10). que se identifica con el agua viva, sinónimo de salud, de vida eterna. El simbolismo del agua viva habla del Espíritu.
La samaritana es una mujer representativa: simboliza y personifica a la región de Samaría donde se había dado culto a cinco dioses (2 Re 17, 24ss), representados en sus cinco maridos. El culto que daban los samaritanos a Yahvé era ilegítimo, por no ajustarse al principio de un único santuario. Esta mujer simboliza a los buscadores de Dios por caminos equivocados. Para San Juan este evangelio es una buena oportunidad para darnos cuenta qué importante es conocer verdaderamente a Jesús.
¿Nos esforzamos por saber quién es Jesús y por vivir su amistad? …
El problema del culto (Jn 4, 20-26) era uno de los que más preocupaban en esa época a los creyentes. El templo sobre el Garizín había sido destruido en el año 128 a. C. por el sumo sacerdote Juan Hircano I, pero seguían dándole culto. La comunidad samaritana poseía, y posee, un ejemplar antiquísimo de la Torá. Eso la hacía competir con Jerusalén. La respuesta de Jesús es elocuente: una vez que ha hecho su aparición, diciendo abiertamente que la salvación se hacía presente en Él.
¿En qué hacemos consistir nuestro culto a Dios?
Ha llegado la hora; en la que el que cree en Dios no será condenado (Jn 3, 18); el juicio se realiza ahora en la actitud de fe o de infidelidad al Hijo del hombre. El que acepta lo que Él dice y cree en el que lo ha enviado, tiene ‘vida eterna, no sufrirá un juicio de condenación, sino que pasara de la muerte a la vida’ (Jn 5, 24)..
"Si conocieras el don de Dios...". (v.10). Jesús nos desliza la duda para descubrirnos nuestro pozo y nuestra profundidad..., que viene a decir:
"Si supieras lo que necesitas de verdad...", lo que necesitas para ser interlocutor mío, para ser persona con un rostro amable y acogedor...Pensemos qué nos dice el Señor este domingo y propongámonos llenarnos de esa agua para vivir y compartir la alegría de ser, de estar, de tener su amistad con quienes nos rodean.

III. Oramos nuestra vida desde este texto:

Padre Dios, "Danos esa agua; la que nos has regalado en tu Hijo, Jesús; con ella ya no tendremos sed". Que no busquemos otras fuentes engañosas. Haz, que con tu Santo Espíritu sepamos saciarnos de tu gracia, para saciar a a nuestros hermanos y que como la samaritana, seamos misioner@s compartiendo la alegría de habernos encontrado contigo, llevando a muchos otros a gozar de este encuentro.
¡Cada día hay más gente sedienta! ¡Cuántos viven en la aridez! Que sepamos despertar en ellas el deseo de saciarse de Ti, que eres fuente de vida. Tu don nos llene, para que contigo y por ti seamos manantiales y pozos de profundidad. ¡Así sea!

Giornata di Preghiera e Digiuno in Memoria dei Missionari Martiri

“Siamo vicini a tutti i missionari e le missionarie, che lavorano tanto senza far rumore, e danno la vita

(Papa Francesco, Angelus del 20 ottobre 2013
Giornata Missionaria Mondiale)


EUROPA/ITALIA - Il 24 marzo la Giornata dei Missionari Martiri: come loro siamo tutti “testimoni” del Vangelo

Roma – Il 24 marzo 1980 veniva assassinato Mons. Oscar A. Romero, Arcivescovo di San Salvador. Dal 1993, per iniziativa del Movimento Giovanile Missionario delle Pontificie Opere Missionarie italiane, in tale data si ricordano tutti i missionari che sono stati uccisi nel mondo. L’iniziativa è ormai diffusa in tante nazioni, anche in date e circostanze diverse: molte sono le diocesi e gli istituti religiosi che dedicano particolari iniziative per ricordare i propri missionari e tutti coloro che hanno versato il sangue per il Vangelo.
Il tema scelto per la XXII Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, lunedì 24 marzo 2014, è “Martyria”, che vuol dire testimonianza, “la conditio sine qua non per essere veramente discepoli di Gesù” come è spiegato nel sussidio predisposto da Missio per l’animazione. “Tutti siamo chiamati a testimoniare la nostra fede, a raccontare il nostro incontro con il Risorto, a sopportare ogni sorta di tribolazione, ingiustizia, persecuzione fisica e spirituale, incomprensioni di qualsiasi genere, pur di trasmettere la Buona Novella che noi stessi abbiamo ricevuto da altri”.
Secondo le informazioni raccolte da Fides, nel 2013 sono stati uccisi 23 operatori pastorali: 20 sacerdoti, 1 religiosa e 2 laici. “Ricordare i missionari, che in modi diversi hanno pagato con la vita il loro generoso servizio per i fratelli – scrive don Michele Autuoro, Direttore nazionale di Missio – non deve diventare per noi un alibi, non possiamo limitarci con la celebrazione del loro nome… No! Abbiamo il compito di raccogliere lo stile, la indiscussa serietà e dedizione, che li ha spinti a non temere per l’eventualità di minacce e rischi… questi nostri amici ci scuotono affinchè la nostra vita di discepoli del Maestro Gesù continui a proclamare il Vangelo che libera, che restituisce la dignità ai troppi fratelli e sorelle calpestati dalle ingiustizie di altri fratelli e sorelle”.
Nel sussidio preparato per la Giornata sono raccolte alcune proposte per l’animazione: il testo di una Veglia per i Missionari Martiri e quello di una Via Crucis con i testi di Papa Giovanni XXIII e Papa Giovanni Paolo II che verranno canonizzati il 27 aprile. Le offerte raccolte con il digiuno contribuiranno a realizzare due progetti missionari: in Tanzania (una scuola alberghiera per 100 studenti) e in Bangladesh (ricostruzione della chiesa di Narail).

Links: 
Sussidi e indicazioni per la Giornata, in italiano 



L’elenco degli Operatori pastorali uccisi nel 2013, in italiano

"Come costruire una convivenza interreligiosa felice?"

Ha risposto il gruppo canadese "Path of Abraham" composto da ebrei, musulmani e cristiani, durante l'incontro a Nazareth organizzato dalla Moschea locale e dal Patriarcato latino di Gerusalemme.

"Come costruire una convivenza interreligiosa felice?”: è partito da questa domanda l'incontro che, la scorsa settimana, ha coinvolto a Nazareth, in Terra Santa, un gruppo di ebrei, cristiani e musulmani provenienti da Toronto, Canada. Sono i membri del gruppo denominato “Path of Abraham”, che, durante l'evento, hanno discusso del contributo della religione nel mondo contemporaneo per la costruzione della pace tra i popoli e tra le culture. 
Come riferisce il sito ufficiale del Patriarcato latino di Gerusalemme, l'organizzazione dell'incontro è stata affidata alla moschea di Nazareth; l’animazione invece a mons. Giacinto Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale latino per Israele, in collaborazione con l’intendente della moschea, sheikh Atef Fahoum, e i tre responsabili del gruppo canadese, il rabbino Bayron F. Kohl, padre Damien MacPherson e l’imam Abdul Hai Patel.
L’iniziativa ha coinvolto 32 persone e ha voluto promuovere la pacifica convivenza tra diverse religioni, sulla scia dell’incontro interreligioso presieduto da Benedetto XVI, nel maggio del 2009, proprio a Nazareth.
Alla domanda che ha animato l'evento, cioè come sia possibile vivere in armonia pur nelle diversità, mons. Marcuzzo - riporta il sito - ha risposto: "Gesù non ha rifiutato e disprezzato la ‘diversità’ dell’uomo, ma l’ha presa su di lui e si é fatto lui stesso uomo, innalzato l’uomo e ha creato una profonda unità”. 
"A volte, dei problemi sono sorti nelle relazioni con le altre religioni", ha invece osservato Atef Fahoum, tuttavia essi non sono da considerare “espressione della comunità musulmana, ma piuttosto il frutto di piccoli gruppi integralisti e politicizzati”. Ha poi sottolineato che “la moschea e la Chiesa dell’Annunciazione sono state tradizionalmente il centro della città di Nazareth", oltre che il simbolo "della loro secolare coesistenza pacifica". "Gli abitanti di Nazaret - ha infatti dichiarato Fahoum - mi chiamano 'l’imam dell’Annunciazione' e il mio fratello 'il vescovo della moschea bianca'”. 



19 marzo 2014

Agua Viva

Água Viva

Sicilia: in due giorni soccorsi 13 barconi, 1.200 in salvo

Palermo - Con le temperature che diventano più miti riprendono i viaggi della speranza da Nord Africa e Oriente da parte di migranti disperati che fuggono da miseria, guerre e sfruttamento per raggiungere l’Europa. Solo negli ultimi due giorni sono 13 i barconi carichi di migranti che le navi della Marina militare e le motovedette della Guardia costiera hanno soccorso nel Canale di Sicilia. Circa 1.200 le persone già soccorse, mentre è imprecisato il numero di quelle a bordo delle imbarcazioni sino a ieri sera in avvicinamento all’Italia. In particolare, due barconi sono stati soccorsi dalla nave Euro della Marina militare: complessivamente sono stati recuperati 482 migranti (di cui 25 bambini e 50 donne). Il pattugliatore Cigala Fulgosi ne ha salvati invece 274, tra cui nove bambini e sei donne. Due motovedette delle Capitanerie di porto hanno poi recuperato oltre 200 migranti, mentre la nave della Marina San Giusto ha soccorso 97 persone prima di dirigersi verso un’altra, carica di immigrati. Su altri tre barconi sono stati dirottati altrettanti mercantili, per fornire soccorso, e su un quarto una motovedetta della Guardia costiera. Molti dei soccorsi sono di nazionalità siriana, palestinese ed eritrea. Drammatici i viaggi di due gruppi di migranti partiti dalle coste turche alla volta dell’Europa. Almeno sette di loro, fra cui due bambini, sono morti annegati al largo dell’isola greca di Lesbos. Mentre quattro cittadini siriani sono deceduti in un naufragio nel Mare Egeo, al largo delle coste turche di Bodrum.


15 marzo 2014

Lectio Divina - Ciclo ‘A’ 2º. Domingo de Cuaresma (Mt 17, 1-9)

El evangelio nos recuerda un singular suceso de la vida de Jesús: cuando subió a Jerusalén, de camino hacia la muerte. Él, Jesús se retiró a orar e invitó a tres de sus discípulos a que compartieran con Él su descanso y su oración.
Quienes creían conocerlo bien, por haberle acompañado durante un tiempo ya considerable y haberle escuchado tantas veces hablar, lo vieron diferente, transformado, divino. Lo encontraron de pronto en compañía de dos hombres de Dios, que conversando con Él sobre su muerte, ya cercana.
Ellos pensaban pasar un rato de oración a solas con su Maestro, pero asistieron atónitos a ese diálogo y se llenaron de miedo. Pedro habló llevado de su carácter pronto, sin saber lo que decía. Él quería que Jesús no fuera a Jerusalén; ya les había revelado su misión; les había anunciado su pasión y su muerte, pero preferían pensarlo siempre vivo, con ellos, dándoles la seguridad que solo Él podía ofrecerles, en un ambiente tan conflictivo como el suyo.
Hubieran querido no bajar del monte, a cualquier costo; aunque todavía no entendían lo que venía, sabían que les esperaban días muy difíciles; no sabían qué pensar y preferían quedarse ahí, en esa experiencia tan única y enriquecedora.

Seguimiento:

Seis días después, Jesús tomó consigo a Pedro, a Santiago, a Juan, su hermano, y los llevó a un cerro alto lejos de todo.
En presencia de ellos, Jesús cambió de aspecto; su cara brillaba como el sol y su ropa se puso resplandeciente como la luz.
En ese momento se les aparecieron Moisés y Elías hablando con Jesús.
Pedro tomó entonces la palabra y dijo a Jesús: “Señor, ¡Qué bueno que estamos aquí!, si quieres voy a levantar aquí tres chozas; una para ti, otra para Moisés y otra para Elías.» No sabía lo que decía.
Pedro estaba todavía estaba hablando, cuando una nube luminosa con su sombra y una voz que salía de la nube decía: los cubrió. Se asustaron al entrar en la nube. «Éste es mi Hijo, el Amado; a Él han de escuchar”.
Al ori la voz, los discípulos cayeron al suelo., llenos de temor.
Jesús se acercó, los tocó y les dijo: “Levántense, no tengan miedo”.
Ellos levantaron los ojos, pero no vieron a nadie más que a Jesús.
Y mientras bajaban del cerro, Jesús les ordenó, “No hablen a nadie de lo que acaban de ver, hasta que el Hijo del hombre haya resucitado de entre los muertos”.

I. LEER: entender lo que dice el texto fijándose en cómo lo dice

Mateo habla de la transfiguración de Jesús, la primera y la única manifestación de su gloria. Esta narración nos deja ver el misterio profunda de la aventura personal de Jesús: su vía crucis no fue más que el camino hacia la gloria y la cruz no fue la etapa final, sino un paso inevitable para regresar a Dios y recibir la gloria que como Hijo Amado y Elegido el Padre quiso darle.
Jesús escogió a tres de sus apóstoles para que subieran con Él al Tabor. Les tenía reservada una misión, y era preciso confirmarlos en la fe. Fueron sus compañeros de oración, vivieron una experiencia única. Lo vieron dialogar con Dios, y siendo testigos de su intimidad con el Padre, pudieron dar a conocer ese gran acontecimiento más tarde. Ellos nunca pudieron olvidar lo que vivieron.
Jesús cambió su rostro y su apariencia, mientras oraba; la transfiguración fue acompañada también por una simbología que completó lo que ellos vieron y oyeron.
Dios Padre dijo abiertamente que Cristo Jesús era su Hijo Amado, su Elegido, y pidió que le escucharan.
La presencia de Moisés y de Elías fue la confirmación del anuncio que Jesús les había dado unos días antes, sobre su pasión y su muerte. Él les dijo que estaba próximo su fin.
Cuanto ven y oyen los tres invitados, no se lo hubieran imaginado; sin embargo fue la preparación para lo que iban a vivir en el momento del Calvario, cuando lo vieron desfigurado, acabado por el dolor y la ingratitud humana.
Pedro se sentía fuera de sí; le dijo a Jesús que si quería él hacer tres chozas, una para Moisés, una para Elías y otra más para Él.
Una nube los cubrió y se escuchó una voz. Dios siempre habla y en ese momento dejó oir a los orantes su revelación: El Padre les habló de su Hijo, el Amado por Él, a quien les había dado como compañero de ruta.
Los discípulos sintieron miedo. La visión fue acompañada por una gran inseguridad. No pudieron ocultar sus sentimientos. Jesús los comprendió y se les acercó; los tocó. Quiso comunicarles lo que no tenían: confianza, seguridad en Él y en lo que estaba por venir.
Dios Padre les reveló quién era su Hijo, y cómo le interesaba que fuera escuchado por ellos. La escucha que pide el Padre es sinónimo de obediencia. Quiso decirles: hagan lo que Él les diga…
Esta experiencia fue muy especial: Tuvieron una visión, una revelación de Dios Padre y Jesús les habló, pidiéndoles a sus íntimos no dijeran a nadie lo que habían visto y oído, hasta que Él hubiera resucitado.

II. MEDITAR: aplicar lo que dice el texto a la vida

Jesús les había dicho a sus apóstoles lo que le esperaba en Jerusalén, (Mt 16, 21 – 28). Jesús sabía que le esperaba una muerte cruenta. Dios Padre les dice a los discípulos escogidos, quién era su Maestro y Señor: “El Hijo Amado”. Ellos acompañaron a Jesús, y oraron con Él; fueron testigos de esta revelación. No estaban preparados para tamaño descubrimiento: mientras ocurría el portento, no supieron qué decir y entre el asombro y el miedo tuvieron que callar lo que habían visto y oído.
Dios sigue dice también hoy quién es su Hijo, y que le interesa mucho que lo escuchemos. Que le obedezcamos… Seguramente nos cuesta entender lo que nos dice. Dios nos presenta a su Hijo con confianza, y quiere que de nuestra parte haya acogida, que seamos capaces de acompañarlo hasta el calvario. ¿Estamos dispuest@s a ir con Él?
Los discípulos que aceptaron la invitación de Jesús a rezar con Él, pudieron también estar en una mayor intimidad con Dios Padre. La nube ensombreció su alegría, pero ellos lograron escuchar a Dios, quien quiso revelarles la identidad mesiánica de su Hijo. Primero compartieron la oración y el silencio con Jesús, luego oyeron a Dios y vieron a su Señor transfigurado. Vieron a Moisés y a Elías con Jesús; hasta ese momento todo fue gozo. Pedro quería hacer tres chozas, pero cuando escucharon la voz del Padre vino a ellos el temor.
Dios Padre nos revela a Jesús. ¡Cuántas veces nos hemos sentido bien sabiendo quién es, gozando de su compañía, pero cuántas veces nos cuesta seguirlo rumbo al Calvario. El Tabor nos puede entusiasmar, pero el Calvario, la cruz, el sacrificio, la muerte nos llena de miedo. ¿Seremos capaces de amar a Cristo hasta su kenosis, hasta su abajamiento, con el que nos redime también hoy?
Podremos superar el miedo si nos dejamos tocar por nuestro Redentor… El sabe estar cerca de nosotros lo mismo en el Tabor que en el Calvario, lo importante es que lo escuchemos, que lo reconozcamos en su dignidad de Hijo Escogido, Amado por Dios Padre…
¿Conocemos lo suficiente a Jesús, como para amarlo como merece ser amado y más todavía, somos capaces de hacer lo que Él nos dice?
Por qué será que los discípulos hoy sabemos quién es Jesús, pero no mejoramos nuestra vida, no se nos ve el deseo de conversión. Muchas veces los momentos de intimidad y de gusto no nos lleva a vivir más el evangelio con sus exigencias. Seguir a Jesús, no solo en el Tabor, sino también hacia el Calvario nos irá haciendo comprender qué quiere decir ser verdaderamente discípulo suyo.
Seguir a Jesús por lo que nos da y no por lo que Él es no es haber comprendido nuestra vocación bautismal. Dios quiere decirnos quién es su Hijo, su Amado y Elegido Hijo, para que también nosotros nos demos cuenta qué quiere decir ser hijos con Él. .
¿Por qué Jesús ya no se transfigura ante nosotros?
¡Quién no siente cierta envidia de estos afortunados discípulos, que vieron a Jesús tan divino y tan de cerca! Se sintieron fuera de sí. Quienes se entusiasmaron por Jesús viéndole transfigurado, tan distinto, aceptaron su invitación para orar con Él.
Encontrar un rato para rezar juntos, a solas con él en el monte, los llevó a descubrir a Jesús; comprendieron lo que hasta entonces no habían percibido de su persona. Viéndolo rezar, a pesar del sueño y de su aturdimiento, se dieron cuenta quién era realmente y quién quería ser para ellos. Rezando con él se sintieron felices de estar a su lado. Y escucharon la voz del mismo Dios, que se lo presentó como su ‘Hijo querido’.
En vez de envidiar a tres discípulos que subieron a lo alto para rezar a solas con Jesús, en vez de enfadarse con Jesús porque nos deja ver apenas lo maravilloso que es, ni alguna rara vez nos hace sentirnos bien en su compañía, deberíamos preguntarnos cuáles son las razones por las que no se transfigura ante nosotros.
Nos podríamos dar cuenta quién es Él y quiénes somos nosotros si pusiéramos todo nuestro ser atento a lo que Dios nos quiere revelar. Si fuéramos capaces de vencer el ambiente tan secularista en el que nos movemos y que no somos capaces de transformar con más fe, con más valentía, y sobre todo, con el testimonio de lo que es creer de verdad.
Démonos cuenta dónde estamos y en qué ocupamos nuestro tiempo. ¿A qué le damos más atención? ¿Qué es lo que nos tiene más preocupados? ¿Es la escucha de la Palabra de Dios, que también hoy se nos quiere revelar? ¿No será que Cristo Jesús no es para nosotros ‘El Hijo Amado’ y prueba de ello es que no le escuchamos y menos todavía nos empeñamos en hacer lo que Él nos pide? ¿Por qué nuestro miedo, nuestra inseguridad, cuando podríamos estar tan contentos con Jesús, y ocupados más de lo suyo para ser más y más felices y compartir la verdadera alegría que le hace tanta falta a nuestro mundo?

III. Oramos nuestra vida desde este texto:

Dios y Padre Bueno: Nos has querido revelar quién es tu Hijo y quienes quieres que seamos nosotros. Concédenos descubrirlo cada día más y mejor. Que entremos en su misterio, para estar en comunión contigo y con el Espíritu, que los une en una comunidad de amor. Haz que nuestra Cuaresma 2014 sepamos estar con Él, que gustemos de la escucha y el seguimiento que comporta el cristianismo, real y comprometido contigo, con Cristo Jesús y con el Espíritu que nos invita a esa escucha consciente y valiente de su Palabra.
Queremos ser testigos de lo que hemos visto y escuchado durante toda nuestra vida, siendo sus discípulos. Danos la valentía para no quedarnos con buenas intensiones, sino que sepamos llegar al compromiso.
Que nos demos tiempo para orar, en medio del vertiginoso ir y venir no nos perdamos de la paz que Tú nos das. Que estando con tu Hijo, Cristo Jesús estemos alegres; que entendamos lo que Él nos dice y que tratemos de llevar a la práctica su Palabra, demostrando cómo se vive siendo tus hijos. ¡Así sea!

Suor Giuseppina MOROSINI

Carissime sorelle, il 14 marzo 2014, presso la Casa di cura “Betania” di Tokyo (Giappone), il Signore ha chiamato a sé la nostra carissima Suor Giuseppina MOROSINI. Nata a Martinengo (Bergamo) il 19 luglio 1925. Professa a Pessione (Torino) il 5 agosto 1951. Appartenente all’Ispettoria Giapponese “Alma Mater”.
Giuseppina era la primogenita nata da genitori di forte fede che la seppero educare con molto affetto. Da buona sorella maggiore, fin da piccola, aveva una speciale cura per le tre sorelle e il fratellino. Da una zia sarta, imparò l’arte del cucito e in questo modo si preparò alla sua futura missione. In casa sua arrivava regolarmente il Bollettino salesiano. Ad uno dei fascicoli era allegata una reliquia di S. Giovanni Bosco con la richiesta di un’offerta. Il papà rispose con tanta generosità perché in famiglia si amava molto don Bosco. Come ringraziamento, il Bollettino salesiano inviò una biografia di Madre Mazzarello e questa fu l’occasione che fece nascere in Giuseppina il desiderio di diventare Figlia di Maria Ausiliatrice. Proprio in quel periodo la Consigliera generale Madre Elba Bonomi si trovava in famiglia per la morte del padre e offrì a Giuseppina l’opportunità di visitare la Casa generalizia di Torino e le facilitò l’entrata nell’Istituto.
Dopo aver emessa la prima professione, all’età di 26 anni, suor Giuseppina fu destinata al Giappone. Ricevette la confidenza di Madre Elba che era stato anche suo desiderio essere missionaria in Giappone. Dopo un anno di preparazione presso la casa di Torino “Madre Mazzarello”, partì e fu inviata alla casa di Osaka, aperta da poco. Qui fu incaricata del guardaroba. Nel 1954 a Tokyo, nella casa “Maria Ausiliatrice” ebbe lo stesso compito. Dopo quattro anni, nel 1958, tornò a Osaka e fino al 1964 fu guardarobiera e poi economa, servizio che svolse con senso di responsabilità e precisione. Nel 1974 fu inviata a Tokyo, casa ispettoriale, dove rimase per quasi 40 anni. Il suo compito iniziale fu quello di economa. Nel 1986, pur continuando ad aiutare l’economa, fu portinaia e telefonista. Nel 1995 le affidarono il laboratorio dove cercava di accontentare le suore preparando veli, abiti e rammendando la biancheria. Molte consorelle sono riconoscenti a suor Giuseppina per la cura e la sveltezza con cui confezionava i lavori vari. Nel 2009 lasciò ogni attività.
Nel febbraio 2012, in seguito ad una caduta, si fratturò il femore e da allora non poté più camminare e non si riprese più. Nel 2013 fu ricoverata per un lungo periodo e si costatava il costante indebolimento, per cui circa due mesi fa, fu accolta nella Casa di cura “Betania”, tenuta da religiose. Qui fu assistita e curata con tanta dedizione e competenza ma giorno per giorno le sue condizioni peggiorarono fino a precipitare e a portarla alla Casa del Padre.
Il carattere di suor Giuseppina, detto alla giapponese, era come un tronco di bambù tagliato, cioè era una persona schietta: il “sì” era “sì”; il “no” era “no”. Quello che pensava lo diceva senza mezzi termini. Per questo però, a volte, soffriva ed era motivo di sofferenza. Suor Giuseppina così ha scritto: «Sono entrata nell’Istituto per lavorare tra i giovani, ma mi dispiace di non averlo potuto fare». Era cosciente dei suoi limiti e si abbandonava alla misericordia di Dio. Era una persona di preghiera.
Ora l’affidiamo anche noi alle mani misericordiose di Dio Padre e chiediamo le preghiere di tutto l’Istituto che lei ha molto amato.

L’Ispettrice
Suor Inoue Sumiko Maria Assunta

14 marzo 2014

“Lasciarci contagiare dal silenzio di San Giuseppe”

«La Quaresima è il tempo del ritrovamento della propria verità ed autenticità ancor prima che tempo di penitenza:  non è un tempo in cui fare qualche particolare opera di carità o di mortificazione, ma è un tempo per ritrovare la verità del proprio essere».
(Enzo Bianchi)

Carissime Sorelle,
La Quaresima è un tempo privilegiato di preghiera, di discernimento, di conversione. Il messaggio di Papa Francesco ci fa camminare verso l’essenzialità e l’apertura ai più bisognosi.
Nel suo messaggio leggiamo: «Dio non si rivela con i mezzi della potenza e della ricchezza del mondo, ma con quelli della debolezza e della povertà. «Da ricco che era, si è fatto povero per voi…». Cristo, il Figlio eterno di Dio, uguale in potenza e gloria con il Padre, si è fatto povero; è sceso in mezzo a noi, si è fatto vicino ad ognuno di noi; si è spogliato, “svuotato”, per rendersi in tutto simile a noi (cfr Fil 2,7; Eb 4,15)».
Gesù, infatti, «ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (GS, 22).
«Il Signore ci invita ad essere annunciatori gioiosi di questo messaggio di misericordia e di speranza! È bello sperimentare la gioia di diffondere questa buona notizia, di condividere il tesoro a noi affidato, per consolare i cuori affranti e dare speranza a tanti fratelli e sorelle avvolti dal buio».
Care sorelle, nel mese scorso, avete ricevuto dall’Ambito Un invito missionario per una buona preparazione alla Pasqua. Abbiamo pensato di offrire alle Comunità un itinerario di approfondimento di Evangelii Gaudium con uno sguardo missionario.
In alcune Ispettorie è anche stato tradotto nella propria lingua per facilitarne la lettura alle comunità. Siamo riconoscenti di queste iniziative che sono una buona strategia per aiutarci a crescere nella sensibilità e nello slancio missionario del nostro Carisma nella Chiesa.
In questi mesi accompagniamo con la preghiera i nostri fratelli Salesiani radunati per il CGXXVII. Chiediamo per loro la Luce dello Spirito Santo e la presenza potente di Maria perché è sempre “Lei che fa tutto” anche oggi, come nel tempo di Don Bosco.
La nostra preghiera sia anche supplica a Dio per una vera pace nel mondo. Il Signore conceda ai governanti la luce e la forza di prendere decisioni sagge, di giustizia e di pace, e di ricercare nuove, adeguate strategie che aiutino a rendere questo mondo più giusto, più solidale, più umano e fraterno. Promuoviamo anche nelle nostre comunità ambienti di vera accoglienza delle differenze, intraprendiamo passi concreti di solidarietà, gesti umani di misericordia, di perdono, di comunione. Educhiamoci ed educhiamo alla pace, alla concordia, alla riconciliazione e alla fraternità nel nostro concreto quotidiano.
Ricorre in questo mese la Festa di San Giuseppe, uomo del silenzio e della presenza, uomo di fede, uomo di Dio. Benedetto XVI ha dedicato a San Giuseppe riflessioni profondissime. Per l’Avvento del 2005 ci aveva rivolto questo invito: «Lasciamoci "contagiare" dal silenzio di san Giuseppe» quel silenzio in cui risuona  «la pienezza di fede che egli porta nel cuore, e che guida ogni suo pensiero ed ogni sua azione».
Anche oggi queste parole sono un invito a “lasciarci contagiare dal silenzio di San Giuseppe” per crescere nella fede e aprirci all’amore-servizio verso le nostre sorelle e fratelli più bisognosi.
Care sorelle, all’augurio di una santa e feconda Quaresima, unisco anche quello di Buona Festa di San Giuseppe. Chiedo al Signore la sua benedizione su ognuna di voi, e a Maria - il 25 marzo celebriamo l’Annunciazione del Signore -, di accompagnarci e aiutarci a mantenere lo sguardo sempre più profondamente fisso su Gesù, interiorizzando l’esperienza dell’incontro quotidiano con Lui, per annunciare nella gioia la Buona Notizia con la testimonianza di una vita centrata in Lui e donata, nella gratuità, ai nostri fratelli e sorelle più sfortunati.
In comunione e nella preghiera reciproca un grande e fraterno abbraccio.
Sr. Alaíde Deretti
Consigliera per la Missione ad/inter gentes