29 luglio 2014

Padre Dall’Oglio, un ricordo che non muore

A un anno di distanza dal rapimento, si moltiplicano le testimonianze di solidarietà, mentre restano oscuri autori e movente della sua cattura. Il direttore di “Popoli”: la sua è stata una voce profetica

È passato un anno dal 29 luglio 2013, giorno del rapimento del gesuita Paolo Dall'Oglio, nel nord della Siria: un evento che suscitò un’eco mediatica notevole, sia per la caratura del personaggio in questione, sia per il significato simbolico, assai preoccupante, dell’atto: l’ennesima tappa di un progressivo incancrenirsi della crisi siriana.
In questi mesi, si sono moltiplicati gli appelli per la liberazione di padre Dall’Oglio e le iniziative di solidarietà con il religioso, fondatore del monastero di Deir Mar Musa. Anche in occasione dell’anniversario del 29 si celebreranno Messe in varie parti d’Italia: a Roma alle ore 18.30 nella chiesa di S. Giuseppe in via Nomentana (via Francesco Redi 1) e a Verona alle ore 18.30 nella chiesa di san Bernardino. Anche a Parigi si terrà una celebrazione eucaristica dedicata a padre Dall’Oglio, a riprova del fatto che il suo caso ha assunto una rilevanza internazionale.
Quanto ad autori e dinamiche del rapimento, a un anno di distanza non vi sono certezze di nessun genere. Da più parti si afferma che dal 29 luglio 2013 Dall’Oglio sia nelle mani di miliziani qaedisti che controllano la regione settentrionale di Raqqa. La verità è che in questi mesi si sono ripetutamente accavallate voci incontrollate (e sin qui rivelatesi false) sui responsabili del rapimento e sulle stesse condizioni di padre Paolo. L’ultimo caso è di metà giugno: un quotidiano libanese – sostenitore degli sciiti filo-Iran di Hezbollah, in lotta con i qaedisti che in Siria combattono a fianco delle truppe del presidente-dittatore Bashar al Assad – ha diffuso la notizia secondo cui una non meglio precisata “delegazione italiana” avrebbe incontrato Dall’Oglio.
L’ennesima menzogna in quello che Lorenzo Trombetta, corrispondente dell’Ansa da Beirut, ha definito «un supplizio di voci che, in modo sempre più insistente e contrastante, si accavallano da mesi sulla sorte del gesuita italiano».
Interpellata invano la famiglia Dall’Oglio – che si trincera dietro un comprensibile, amaro silenzio (ma oggi i familiari hanno diffuso un appello) – Vatican Insider ha raggiunto Stefano Femminis, direttore di “Popoli”, magazine internazionale dei Gesuiti italiani. «In questi mesi la nostalgia per padre Paolo e l’angoscia per le voci, a volte tragiche ma mai verificabili sul suo destino, sono state una compagnia costante. Il pensiero va a lui quasi automaticamente quando si leggono le notizie sulla Siria che sprofonda sempre più nell’orrore».
Continua Femminis: «Una cosa mi colpisce, soprattutto: se si rileggono molte delle cose dette e scritte da padre Paolo, anche su “Popoli”, si può dire che è stato davvero profetico, suo malgrado. Penso per esempio a quando - già anni fa - avvertiva che, lasciandosi prendere da un’istintiva paura dell’islam e facendo mancare il sostegno politico e morale alla parte sana della ribellione anti-Assad, si sarebbe fatto il gioco degli estremisti: ebbene, è proprio quello che sta succedendo, con il trionfo dei terroristi dell’Isis (anche in Iraq) e il contemporaneo rafforzamento di Assad». Una lettura, questa sostenuta anche da chi – come Domenico Quirico, inviato della “Stampa”, anch’egli ostaggio per cinque mesi in Siria – si è misurato di persona con la drammatica complessità della situazione siriana.
«Abbiamo bisogno di padre Paolo – continua Femminis - della sua apertura mentale e spirituale, del suo amore per il dialogo portato alle estreme conseguenze (gli uomini di dialogo non hanno mai fatto una bella fine, nella storia), delle sue parole magari un po' sopra le righe ma sempre autentiche. Soprattutto, credo che la Siria abbia bisogno di lui. Io continuo a sperare che torni presto».
Rileggere oggi i testi di padre Dall’Oglio assume, in effetti, un significato del tutto particolare. A chi prenda in mano il suo libro più recente, “Collera e luce. Un prete nella rivoluzione siriana” (Emi 2013) può capitare di imbattersi in un passo come questo: «O ci mettiamo sulla strada della differenza oppure sulla strada della morte. O si accetta la differenza oppure la si sopprime. La Siria è, da questo punto di vista, un luogo altamente centrale e simbolico. Non si tratta qui soltanto di un povero popolo abbandonato nell’est del Mediterraneo, bensì di questioni che sono di urgente attualità ovunque nel mondo. Dibattendo della Siria, tu e il tuo vicino, cristiano, musulmano, ebreo o altro, è di voi che parlate: discutete delle vostre stesse relazioni».


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