11 maggio 2015

Migliaia di profughi Rohingya soccorsi al largo delle coste di Indonesia e Malaysia

Gli ultimi sbarchi sono avvenuti nelle prime ore di oggi. Un migliaio di disperati è stato recuperato dalle autorità di Kuala Lumpur: erano stati abbandonati dai trafficanti. Altri 400 soccorsi ad Aceh. Ieri altre 600 persone sono sbarcate sulle coste indonesiane. Nei prossimi giorni attese nuove ondate di profughi.

Jakarta  - Le autorità di Indonesia e Malaysia hanno soccorso quattro imbarcazioni al largo della costa, con a bordo circa 1.400 profughi Rohingya in mare aperto da almeno una settimana. L’intervento della marina di Jakarta e Kuala Lumpur è avvenuto oggi, a sole 24 ore di distanza dallo sbarco di altri 600 esuli sulle coste della provincia indonesiana di Aceh.

Fonti locali riferiscono che le imbarcazioni sembravano abbandonate a se stesse e senza controllo mentre la Thailandia, destinazione abituale delle imbarcazioni cariche di disperati, ha promosso negli ultimi giorni un giro di vite contro gli sbarchi. Una stretta decisa dai vertici governativi di Bangkok, dopo la scoperta di una fossa comune nei pressi del confine con la Malaysia al cui interno erano sepolti decine di cadaveri di Rohingya.

Dei circa 1400 profughi recuperati oggi, un migliaio è sbarcato sulle coste della Malaysia dopo essere stato abbandonato dai trafficanti nelle acque (poco profonde) al largo dell’isola di Langkawi, celebre meta turistica. Il vice capo della sezione locale della polizia Jamil Ahmed parla di “tre imbarcazioni, con a bordo 1.018 migranti”. Egli aggiunge che il numero è destinato ad aumentare nei prossimi giorni, perché altri migranti si stanno avvicinando all’isola.

Nelle prime ore di oggi le autorità indonesiane hanno soccorso un’altra imbarcazione al largo delle coste di Aceh, con a bordo circa 400 fra uomini, donne e bambini della minoranza Rohingya, alcuni dei quali in precarie condizioni di salute. Jakarta ha chiesto aiuto ai pescherecci per monitorare gli sbarchi, in vista dell’arrivo di nuovi profughi.

Chris Lewa, attivista di Arakan Project, organizzazione umanitaria che si occupa della tutela dei diritti dei Rohingya, afferma che migliaia di migranti sono al momento intrappolati in mare aperto, a causa del giro di vite contro gli sbarchi adottato da Bangkok e Kuala Lumpur.

Dal giugno del 2012 lo Stato occidentale birmano di Rakhine è teatro di scontri violentissimi fra buddisti e Rohingya, che hanno causato almeno 200 morti e 250mila sfollati. Secondo stime delle Nazioni Unite in Myanmar - nazione a maggioranza buddista, con 50 milioni di abitanti - vi sono tuttora 1,3 milioni di appartenenti alla minoranza musulmana, che il governo considera immigrati irregolari senza diritto di cittadinanza; per questo essi sono oggetto di abusi e persecuzioni.

Ad oggi vi sono ancora 140mila sfollati rinchiusi nei centri profughi che, secondo quanto stabilito dal governo birmano, devono accettare la classificazione di bengali - e ottenere la cittadinanza - oppure rimanere "a vita" nei campi. All'interni essi sono privati dei diritti di base, fra cui assistenza sanitaria, educazione o un lavoro. Contro l'emarginazione e l'abbandono in cui versa la minoranza musulmana è intervenuta a più riprese anche la Chiesa cattolica birmana.