30 novembre 2015

Sussidio Adulti e Famiglie: "Dalla parte dei poveri"


Eccoci al sussidio annuale di animazione 2015-2016 per adulti e famiglie: "Dalla parte dei poveri". Un titolo omonimo...

Posted by Missionarietà on Segunda, 30 de novembro de 2015

Parigi: al via i difficili negoziati del COP21 sulle sfide al cambiamento climatico


O sonho missionário de chegar a todos. (EG 31)

28 novembre 2015

Buon Avvento a tutti!


Celebrare l'Avvento, significa saper attendere,
e l'attendere è un'arte che,
il nostro tempo impaziente, ha dimenticato.
Il nostro tempo vorrebbe cogliere il frutto appena il germoglio è piantato;
così, gli occhi avidi, sono ingannati in continuazione,
perché il frutto, all'apparenza così bello, al suo interno è ancora aspro,
e, mani impietose, gettano via, ciò che le ha deluse.
Chi non conosce l'aspra beatitudine dell'attesa,
che è mancanza di ciò che si spera,
non sperimenterà mai, nella sua interezza,
la benedizione dell'adempimento.

(Dietrich Bonhoeffer)

Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nella misericordia! (cfr. 1Ts 3,12)


“Siamo chiamati a vivere il nuovo anno liturgico, riscoprendo tutta la forza del desiderio con cui l’umanità grida a Dio...

Posted by Missionarietà on Sábado, 28 de novembro de 2015

Carta de Card. Turckson a los Obispos antes de la COP 21


27 novembre 2015

Assemblea Plenaria della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli: coscienza missionaria e giovani Chiese a 50 anni dal Decreto Ad Gentes

Città del Vaticano  – Si apre lunedì 30 novembre alle ore 9, presso l’Auditorium Giovanni Paolo II della Pontificia Università Urbaniana, la XIX Assemblea Plenaria della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (CEP). Nel 50° anniversario del Decreto conciliare Ad Gentes sull’attività missionaria della Chiesa, i lavori della Plenaria prenderanno in considerazione la realtà della coscienza missionaria, l’attività missionaria delle giovani Chiese e il servizio della CEP e delle Pontificie Opere Missionarie (POM), per tracciare alcune linee guida per il futuro.
Ad aprire i lavori sarà la visione panoramica del Cardinale Prefetto di Propaganda Fide, Fernando Filoni, sull’attività svolta dal Dicastero Missionario e dalle POM negli ultimi 5 anni, cui seguirà la prima Relazione, illustrata dal Card. Tarcisio Bertone, sul tema “Coscienza ecclesiale e capacità evangelizzatrice nelle giovani Chiese”. Martedì 1 dicembre la seconda Relazione, sul tema “Attività missionarie Ad Gentes nelle giovani Chiese”, sarà tenuta dal Card. Peter Turkson Appiah, Presidente del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”. Il terzo giorno, 2 dicembre, la terza relazione, curata da Sua Ecc. Mons. Giampiero Gloder, Presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica, sul tema “I servizi della CEP e delle POM attesi dalle giovani Chiese”. Ogni giorno, dopo le relazioni e il dialogo in aula, si svolgeranno i lavori di gruppo, che proseguiranno anche nel pomeriggio. La Plenaria si concluderà giovedì 3 dicembre, festa di San Francesco Saverio, Patrono delle Missioni, con la Messa solenne nella Basilica di San Pietro e l’udienza del Santo Padre. Nel pomeriggio il discorso conclusivo del Card. Filoni.
All’Assemblea Plenaria partecipano, oltre al Cardinal Prefetto che la presiede, al Segretario, Segretario aggiunto e Sottosegratario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, i membri del Dicastero Missionario (Cardinali, Arcivescovi, Vescovi, due Direttori nazionali delle POM, quattro Superiori generali di istituti religiosi); un gruppo di invitati (tra cui i Segretari generali delle Pontificie Opere Missionarie) e lo staff della Cep.

“Non possiamo fermarci quando il mondo intero è in movimento”. (Jean Monnet)


Solo chi non vuol vedere può fingere di...

Posted by Missionarietà on Sexta, 27 de novembro de 2015

Nostra Aetate: The Leaven of Good - Part III. The Pontifical Council for Interreligious Dialogue.


Nostra Aetate: The Leaven of Good - Part III. The Pontifical Council for Interreligious Dialogue.

Posted by Missionarietà on Sexta, 27 de novembro de 2015

26 novembre 2015

Il mio prossimo è diventato anche social


Testimoniare dunque significa innanzitutto vivere una vita ordinaria alimentata dalla fede in tutto: visione del mondo,...

Posted by Missionarietà on Quinta, 26 de novembro de 2015

Suor Antonia TARDIVO

Carissime sorelle, il 22 novembre 2015, nell’Ospedale “Jardim Cuiabá” di Cuiabá, Mato Grosso (Brasile), il Signore della Vita ha chiamato a sé la nostra cara sorella Suor Antonia TARDIVO. Nata a San Donà di Piave (Venezia) il 9 aprile 1937. Professa a Torre Bairo (Vercelli) il 6 agosto 1957. Appartenente all’Ispettoria Brasiliana “N. S. della Pace” – Cuiabá.
Antonia nacque in una famiglia di fede profonda, semplice e amante del lavoro onesto. Quando entrò nell’Aspirantato il Parroco dichiarò: “Antonia è una giovane di condotta esemplare, modesta, buona, intelligente e seria. Frequentò la Catechesi con lodevole profitto. Era iscritta all’Associazione delle Figlie di Maria”.
Iniziò l’Aspirantato nel 1954 nell’Istituto “Sacro Cuore” di Vercelli dove, il 31 gennaio 1955, fu ammessa al Postulato. Continuò la sua formazione nel Noviziato “San Giuseppe” di Torre Bairo dove fece la professione religiosa il 6 agosto 1957.
Dopo la professione venne inviata all’“Istituto Santa Rosa” di Moncrivello (Vercelli) e, nel 1959 nella Casa “Madre Mazzarello” di Torino si preparò alla missione. Il 6 ottobre 1960 partì come missionaria per il Brasile Mato Grosso. Il suo primo campo di lavoro fu a Tupã dove per sei anni fu assistente delle aspiranti, svolgendo questo servizio con dedizione e gioia.
Nei suoi 54 anni di vita missionaria lavorò in varie case dell’Ispettoria “Imaculada Auxiliadora” di Campo Grande. Nel 1979 fu direttrice dell’Istituto Missionaro “São José” e del Collegio “Nossa Senhora Auxiliadora” di Campo Grande. A Corumbá insegnò religione nella scuola elementare e media. Nel 1981 passò all’Ispettoria “Nossa Senhora da Paz” di Cuiabá: a Barra do Garças fu direttrice dell’“Instituto Madre Marta Cerutti”, poi lavorò a Alvorada do Oeste, Araguaiana e Alto Araguaia. In queste case e in quasi tutte le comunità, fu consigliera locale, assistente in oratorio e dei gruppi di giovani nella Parrocchia e responsabile delle Figlie di Maria. Nel 1983 a Barra do Garças fu membro dell’Equipe Diocesana della Pastorale Vocazionale. Per quattro anni fu anche consigliera ispettoriale e direttrice della casa di Barra do Garças. Nel 1998 ottenne la nazionalità brasiliana.
Nel 2000 al 2002 collaborò con la Conferenza dei Religiosi del Brasile CRB e svolse questo servizio con generosità, spirito di dedizione e fedeltà alla vita religiosa consacrata. Nel 2003, prestò la sua collaborazione presso l’Instituto de Promoção Humana Papa João XXIII di Cuiabá. Nello stesso tempo era delegata delle exallieve del collegio “Coração de Jesus” di Cuiabá.
Suor Antonia aveva un temperamento aperto, altruista; era dedita ai poveri e ai bisognosi. Era allegra, entusiasta e con una capacità di interiorizzazione dei veri valori. Corrispondeva ai doni ricevuti da Dio con generosità e totale dedizione. Fu sempre un dono per le comunità dove visse. Donna accogliente, austera con se stessa, FMA generosa, discreta, responsabile nel lavoro, disponibile. Era sempre interessata della realtà giovanile attuale e cercava risposte per aiutare i giovani nel loro cammino.
Nel mese di settembre 2015, venne trasferita a Cuiabá per un intervento chirurgico a causa di un aneurisma cerebrale. Durante l’operazione sopraggiunse un’emorragia e rimase per due mesi nel reparto di terapia intensiva. Il suo stato era gravissimo e la portò alla morte. Era il 22 novembre solennità di Cristo Re che la chiamò a celebrare la festa nel suo Regno di amore e di pace.
Cara suor Antonia, grazie per la testimonianza di fedeltà al Signore nell’amore ai piccoli. Intercedi per noi presso il Padre che ora contempli faccia a faccia nella gloria. Ottienici dal padrone della messe vocazioni per l’Istituto e per l’Ispettoria che abbiano l’ardore missionario che ti ha caratterizzata. Ti ricordiamo con affetto e riconoscenza e preghiamo per te.

L’Ispettrice
Suor Mariluce Gonçalves Dorilêo

PRIMO ANNUNCIO DI GESÙ IN CITTÀ: UNO STATO PERMANENTE DI MISSIONE

(ANS – Roma) – Le Giornate di Studio sul Primo Annuncio di Gesù in Città organizzate dal Settore e l’Ambito per le Missioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice si sono concluse sabato 21 novembre.

Per l’occasione sono intervenuti relatori esterni alla Famiglia Salesiana, che hanno aiutato i partecipanti a ragionare fuori dagli schemi già noti. Nel primo giorno padre Giulio Albanese, giornalista comboniano, ha presentato una descrizione delle città nel mondo globalizzato di oggi, con le sue caratteristiche comuni e i fenomeni della città. Nella relazione ha insistito che “le opere”, non sono sempre evangelizzatrici, ma che bisogna metterci intenzione e volontà operativa per assicurare che “un’opera” sia veramente evangelizzatrice.

Nel secondo giorno sr Milva Caro, missionaria scalabrianiana, figlia di immigrati italiani in Germania, ha presentato il fenomeno della mobilità umana e le sfide ed opportunità per il Primo Annuncio in un contesto urbano.

Nel terzo giorno il prof. Carmelo Dotolo, laico, Decano della Facoltà di Missiologia della Pontificia Università Urbaniana, ha sottolineato la distinzione tra secolarizzazione e secolarismo e le sfide e le opportunità per il Primo Annuncio nella realtà secolarizzata delle città.

Nel quarto giorno 2 relatori hanno presentato una riflessione profonda sul Primo Annuncio dalla perspettiva salesiana. Sr. Piera Ruffinato, docente presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium, ha mostrato che il Sistema Preventivo in contesti urbani può essere un modo di promuovere il primo annuncio nello stile salesiano. Mentre don Ubaldo Montisci, del Dipartimento di Pastorale Giovanile e Catechetica dell’Università Pontificia Salesiana ha mostrato come la Pastorale giovanile nei contesti urbani offra molti opportunità per il Primo Annuncio.

Il Rettor Maggiore e la Madre Generale delle FMA hanno dato la “buona notte” rispettivamente il 20 e 21 novembre. Ambedue hanno sottolineato la missionarietà delle 2 congregazioni e l’importanza di mantenere vivo il fuoco missionario in ogni religioso.

Le Giornate hanno portato i partecipanti ad intuire che è la consapevolezza di promuovere sempre il Primo Annuncio che porta ogni SDB e FMA a vivere la propria vita in stato permanente di missione, una situazione, che esige una conversione pastorale e spirituale in ognuno o ognuna. Per questo il Rettor Maggiore ha sottolineato anche che ciò che è importante non è tanto il documento pubblicato, quanto il cambio di mentalità che questa esperienza di studio e riflessione ha creato in ogni partecipante.

Gli atti delle Giornate di Studio saranno pubblicati come libretto, in diverse lingue, con diverse schede che consentiranno alle comunità locali – anche a quanti si trovano in altri contesti della Congregazione – di utilizzare il materiale per la formazione permanente.

12 novembre 2015

Le cinque vie

Cinque “clip” sulle cinque “vie” - uscire, annunciare, educare, abitare, trasfigurare - del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, giocate sulla logica binaria, ma alternativa, tra il “si può” e l’“oppure si può…”, e la “v” minuscola e la “V” maiuscola, per indicare la “voce del verbo”.

8 novembre 2015

Firenze 2015 - Uscire

Cinque vie, un nuovo umanesimo


6 novembre 2015

La pace è un dovere

Roma (Italia). Dal 26 al 28 ottobre si è svolto il Convegno Internazionale sul Dialogo Interreligioso nel cinquantesimo anniversario della dichiarazione conciliare "Nostra aetate".

Il 28 ottobre 1965 i Padri conciliari approvavano con 2221 voti favorevoli, 88 voti contrari e 1 voto nullo il Decreto Nostra aetate. Significativamente, nella stessa data, venivano approvati i Decreti Optatam Totius, Perfectae Caritatis, Christus Dominuse la Dichiarazione Gravissimum Educationis. Il Decreto Nostra aetate, pur nella sua brevità, rispecchia il desiderio della Chiesa di incontrare tutti e di esortare i suoi figli ad entrare con amore in un dialogo attivo con gli altri credenti.

Per celebrare questo avvenimento il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, insieme alla Commissione per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani e alla Pontificia Università Gregoriana, ha organizzato un Convegno internazionale presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma.
Il pomeriggio 26 ottobre, si è tenuto un atto commemorativo con i saluti degli Em.mi Cardinali Jean-Louis Tauran e Kurt Koch, rispettivamente Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, il rev. P. François-Xavier Dumortier, sj, Rettore della Gregoriana, ed altri esponenti di diverse religioni. In quest'occasione è stato proiettato il film «Nostra ætate»(The Leaven of Good’) realizzato dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.
Il 27 ed il 28 ottobre il Convegno internazionale ha visto la partecipazione, a tavole rotonde, di relatori di varie religioni sui temi: Il dialogo interreligioso, credenti al servizio dell'essere umano; Violenza e impegno delle religioni per la pace; La sfida della libertà religiosa; L'educazione e la trasmissione dei valori.
Nel pomeriggio di mercoledì 28, ha avuto luogo l'intervento conclusivo del cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, che ha affermato che «la Chiesa ha sempre insegnato, insegna ancor oggi e non si stanca di ripetere: la pace è possibile, la pace è doverosa! Un dovere, quindi, s'impone a tutti gli amanti della pace, ed è quello di educare le nuove generazioni a questi ideali, per preparare un'era migliore per l'intera umanità.
L'educazione alla pace è - ha evidenziato il porporato - oggi più urgente che mai, perché gli uomini, di fronte alle tragedie che continuano ad affliggere l'umanità, sono tentati di cedere al fatalismo, quasi che la pace sia un ideale irraggiungibile (cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2004, n. 4). In un momento di forte preoccupazione per il moltiplicarsi di tensioni e conflitti in diverse aree del mondo, è urgente promuovere una riflessione profonda e articolata sul tema dell'educazione alla pace. L'affermazione di un'autentica cultura di pace non può prescindere dalle radici etiche volte all'edificazione di una comunità internazionale attenta alla convivenza tra i popoli e allo sviluppo integrale dell'essere umano. Come affermava Maritain, «la pace non sarà possibile senza il rispetto delle basi della vita comune, della dignità umana e dei diritti della persona», la costruzione della pace è come un orizzonte sull'oceano che si staglia davanti a noi, ma si ha la sensazione che si allontani sempre».

La mattina di mercoledì 28 ottobre, per espresso desiderio del Santo Padre, si è tenuta un'Udienza Generale Interreligiosa alla quale, oltre ai partecipanti al Convegno Internazionale, erano presenti fratelli e sorelle di diverse religioni. Questa è stata un'occasione per ringraziare Dio dei frutti già raccolti per il crescente cammino sul dialogo interreligioso percorso in cinquant'anni e per invocare la benedizione del Signore per il futuro.
Suor Maike Loes, collaboratrice dell'Ambito per le Missioni ha partecipato al Convegno in rappresentanza dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Per l'Ambito è stato significativo celebrare non soltanto il 50° della Dichiarazione Nostra Aetate, ma allargare lo sguardo di fronte alla realtà e aiutare le fma a crescere nella sensibilità al dialogo interreligioso, ecumenico, interculturale e al "dialogo della vita", come viene indicato dalla programmazione del sessennio, per accogliere l'altro come dono e insieme costruire un mondo-casa vivibile.
Infatti, il dialogo interreligioso si realizza nell'incontro con l'altro, nella capacità di accogliere ogni persona con la sua cultura, religione, origine etnica come creatura amata da Dio che si costruisce nella relazione.

Testo integrale dell'intervento del cardinale Pietro Parolin:

Con le vecchie, le nuove povertà

L’intervento di monsignor Enrico Feroci alla presentazione della Lettera alla città del cardinale Agostino Vallini nella Basilica di San Giovanni in Laterano.

Un’esperienza recente: mese di giugno, qui a Roma, in auto da via Nomentana verso Piazza Bologna, (procedevo per la via complanare). Arrivato all’ingresso della galleria della Tangenziale Est sotto la stazione Tiburtina, vedo un grande avviso di divieto di transito, (luce luminosissima bianca con il bordo rosso ) ed accanto la motivazione, a caratteri cubitali, chiarissima: “Incendio in galleria!” Ebbene: le auto entrano nel tunnel senza alcuna esitazione, e senza diminuire la velocità…Avanti! E l’avviso ordina: “Alt! Incendio!” Nei fatti la scritta è rimasta fissa e senza alcun effetto per più di venti giorni: le auto hanno continuato ad infilarsi in quel buio, con l’avviso di pericolo… Un’anomalia? Una sventatezza tutta moderna? Un caso senza causa precisa e per fortuna senza immediati effetti tragici? Certo, ma ora qui e per noi una metafora.

Continuo… Il 24 agosto scorso su un quotidiano romano trovo un servizio su Roma disegnata così: “cresciuta a dismisura, affastellando periferie a periferie, baraccopoli a quartieri di edilizia popolare malvissuti perché malpensati,…”ecc. E su quel giornale una domanda secca: “Roma è malata?”
Feroci375_300Una metafora? Sì, ma non solo di oggi. Ricordo che già nel 1974 – preistoria per tanti di noi – si parlò molto, anche dalle nostre parti di Diocesi, di “Mali di Roma”, come venne a chiamarsi un incontro di Chiesa che doveva dedicarsi a ricordare “Le attese di Giustizia e di Carità” della nostra comunità, alla luce del Concilio terminato allora da soli 9 anni… Dunque, già in quei tempi “i mali di Roma”. Ebbene: la relazione introduttiva per questo importante Convegno di Chiesa diocesana fu affidata ad un sociologo già di fama: Giuseppe De Rita…
Già allora su Roma e i suoi “mali”? Sì. E ancora oggi, ancora allo stesso prof. De Rita di recente abbiamo letto che qualcuno ha chiesto se avesse un senso “utilizzare l’espressione ‘Roma città malata”, e lui oggi ha risposto così: “…Partirei col dire che quella romana è una società fragile, debole, frastagliata…”. Ecco: Roma fragile, debole, frammentata, come fatta a pezzi…E a rischio di dissolvimento progressivo: era quella di ieri, ma è anche questa di oggi…
Dunque da tempo e da più parti ci arrivano messaggi di allerta sui pericoli che corre la nostra città. Oggi siamo qui per rilanciare l’allarme, per risvegliare l’attenzione sull’ “incendio” nel tunnel in cui pare che talora siamo entrati senza minimamente rallentare, e nel quale se non ci fermiamo per tempo rischiamo tutti di bruciare.

Allarme giusto. Per sottolineare, però, le fragilità della nostra città. Ma vorrei farlo con la delicatezza dell’artigiano esperto, che ha in mano una preziosa opera d’arte ed è chiamato al restauro. Vorrei fare le veci di quel cartello che dice: “incendio in galleria”, cercando di farmi ascoltare, non per desiderio di sovraesposizione ma per evitare mali maggiori. Sì! “Incendio in galleria” e l’allarme, qui, non è ripetitivo di quello che si può leggere sulle pagine dei quotidiani romani, e anche su quelle delle indagini e dei processi per criminalità più o meno organizzate e tollerate dall’incuria comune… Oggi sono grandi i pericoli che corre la nostra Città, in tutti i suoi componenti…Pagine piene di cose grosse e vergognose che talora arrivano alle istituzioni, tutte, e corrono il rischio di cancellare la differenza tra chi serve Roma, e chi di Roma si serve per i suoi interessi, spesso loschi…Non ci nascondiamo: qualche schizzo di fango di recente ha toccato anche ambienti non del tutto estranei alla nostra comunità…
Questo allarme, mio e nostro, qui innanzitutto si riferisce al manifestarsi dei nuovi tipi di povertà, che si affiancano a quelli tradizionali, ai quali questa nostra città ha saputo rispondere negli anni passati con impegno eccezionale.

Guardiamo la realtà: Ne abbiamo viva e bruciante coscienza, ed oggi siamo qui anche per questo, per dire “I care” (mi sta a cuore), come ha insegnato Don Lorenzo Milani, per dire che ci sta a cuore, questa città! La dicono “eterna”, ed è un pregio di quasi tre millenni, ma la vera eternità oggi ci pare quella dei problemi collettivi e individuali irrisolti, quella dei rischi di decomposizione, dell’inguaribilità di malattie i cui sintomi avvertiamo ad ogni passo, in basso e in alto, nei governati e nel personale di governo della stessa: la cronaca, anche nera e vergognosa dove meno dovrebbe esserci, quella che prima di trovarla ogni giorno in pagina sui giornali e che, amaramente, talora pare toccarci da vicino, lo mostra ogni giorno…

1) Attenzione: il primo pericolo, che oggi costituisce il vero dramma “antropologico” è l’esasperazione dell’individualismo e dell’utilitarismo. Non siamo abituati a chi pensa agli altri, e allora chi lo dimostra ci sorprende… Per questo ci ha sorpreso Papa Francesco quando fino dal primo incontro ci ha salutato con quel “Buona sera!”. Ha pensato subito, pur in quel momento nel quale Lui era al centro di tutto, a noi… al suo popolo, dell’ “Urbe” e dell’ “Orbe”, del mondo intero…
Troppe volte la realtà, mia e nostra, è diversa: abbasso gli occhi davanti all’altro che non conosco, anche quando entro in chiesa. Vedo nell’altro non qualcuno da amare e accogliere, ma appunto solo “l’altro”, qualcuno cui guardare con diffidenza, qualcuno col quale al massimo posso fare uno scambio: “do ut des”, e niente altro. Se da te non posso ricavare nessuna utilità, per me sei solo un problema in più, non mi interessi. Io ti scarto!

Lasciatemi dire, anche, che la piaga dell’individualismo e dell’utilitarismo dilaga nella nostra società perché essa è costituita ormai da troppe persone stanche, in continuo affanno e preoccupazione per sé. Le ragioni sono molteplici e non abbiamo qui il tempo di analizzarle. Però possiamo soffermarci sulle conseguenze di tale fatto: questa stanchezza produce in tutti noi la necessità di accantonare, archiviare quello che è oltre e dopo noi stessi. E così si avvia una tendenza generalizzata allo scarto, a cui di continuo Papa Francesco ci richiama… Ecco allora che i poveri, i malati, gli anziani, coloro che sono affetti da dipendenze, i disoccupati, i migranti, le persone, insomma, che non sono “efficienti”, vengono visti non come questione importante che ci interroga e ci coinvolge, tutti, ma come fastidi, fardelli inutili, qualcosa da ricacciare indietro, almeno da allontanare – “non qui!”, sentiamo gridare – perché “gli scarti” minacciano il nostro fortino di certezze e benessere. E se invece provassimo a cambiare prospettiva, magari in modo “rivoluzionario”?

Il Gran Mufti di Bosnia, Mustafa Cerić, indica la crisi in sette peccati: “L’Occidente deve passare per una rivoluzione spirituale, l’attuale collasso economico non è una questione di crisi finanziaria, è una crisi morale. Credo che l’Occidente sia colpevole di sette grandi peccati: Benessere senza lavoro. Educazione senza morale. Affari senza etica. Piacere senza coscienza. Politica senza principi. Scienza senza responsabilità. Società senza famiglia.
Sette peccati, capitali, e qui anche della Capitale, la nostra città. Andrebbero approfonditi uno per uno, a partire da quel “benessere senza lavoro” che dice certamente corruzione e utilizzo del prossimo come una cosa da sfruttare…
E allora, cosa facciamo? Incendio in galleria! Tornando all’immagine iniziale: entriamo nel tunnel senza pensarci? Oppure ci fermiamo, cerchiamo di renderci conto di quello che sta avvenendo? Ci buttiamo nel fuoco?

2) Ancora. Provo sempre un grande imbarazzo, anzi, un grande dolore quando parlo con qualcuno della fascia d’età tra i trenta ed i quarant’anni, i cosiddetti “giovani adulti”. Non vi chiedo se li avere mai incontrati: è ovvio che li avete ben presenti! Ma li avete mai ascoltati? Avete colto la disperazione, che non appare sempre sul loro volto, ma viene fuori appena si apre uno spiraglio di vero ascolto perché sono senza lavoro, non hanno la possibilità di avere una famiglia, dei figli, si sentono ormai tagliati fuori dal mondo della produzione? Avete percepito l’enorme preoccupazione sul domani? Fra 25 anni avranno l‘età della pensione. Quale pensione? Saranno l’enorme massa di gente in fila alle mense della Caritas? Dobbiamo rassegnarci a questo futuro? Loro dovrebbero, per natura, essere gli educatori delle nuove generazioni e invece non si sentono e non sono più punti di riferimento: spesso neppure per se stessi!
La crisi ha portato precarietà, disoccupazione, e a volte rinuncia agli studi. Siamo di fronte ad uno spreco di capitale preziosissimo, una preziosa ricchezza umana, come è prezioso l’uomo chiamato a vita e salvezza: cosa senza precedenti che impoverisce il paese con conseguenze nascoste, ma drammatiche… C’è un’intera generazione cui non è concesso valorizzare i propri talenti, a cui non è permesso progettare il futuro: è la prima generazione, dopo decenni, in cui le aspettative in termini di ricchezza e qualità di vita sono inferiori alla generazione precedente. E certamente, se non spegniamo l’incendio, non sarà l’ultima a trovarsi in queste condizioni…A Roma riscontriamo nei nostri servizi il riemergere di vecchie marginalità, ma con una complessità più spiccata: ad esempio il ritorno alla tossicodipendenza da eroina e oppiacei non più per motivi ideologici, ma utilizzata per alienazione esistenziale. Aleggia su tanti, troppi, lo spettro del “nichilismo” vitale…

3) Paradossalmente, oltre quella dei giovani c’è, e cresce, anche la povertà degli anziani, dopo che questi hanno sostenuto l’impatto delle difficoltà logistiche e lavorative dei figli. A Roma gli over 65 sono 638.000 su una popolazione totale di 2.900.000 persone. Gli operatori della Caritas che entrano nelle case degli anziani ci dicono che aumentano le situazioni domestiche di abbandono, cui naturalmente presto si aggiungono problemi di igiene e cura della persona che portano ad un nuovo “barbonismo domestico”, spesso, e forse sempre accompagnato da una crescita delle patologie psichiatriche e da un elevato rischio di morte in casa. E’ cronaca di questi giorni! I giornali scrivono: “Fantasmi. Anziani dimenticati nelle loro case, morti nell’indifferenza”. Sconcertante il fatto della ex insegnante trovata senza vita, forse dopo due anni, a Ponte di Nona! E i fratelli trovati morti, nel mese di agosto, a Monteverde? E a Pietralata la persona trovata morta dopo dieci giorni a settembre scorso? Mi dicono che nel 2014 le vittime da abbandono totale sono state un centinaio.

Da bambino – mi sono state sempre vivamente presenti quelle immagini – ho visto un film sul Giappone di allora, che raccontava la vicenda di un figlio che prendeva sulle spalle il vecchio padre e lo accompagnava su un monte, per lasciarlo poi lì. Si dice sia costume anche di altri paesi: anziani portati allo scarico, in quel caso anche in mezzo alla nebbia dove altri avevano già, o avrebbero via via portato gli anziani genitori a morire. Ci stiamo avvicinando alla mantagna sacra dell’abbandono? Siamo diventati insensibili e dal cuore di pietra?

4) E ancora. Attenzione particolare va dedicata alla famiglia. Siamo appena stati spettatori interessati del Sinodo dedicatole da Papa Francesco, libero, vitale, segnato dalla presenza dello Spirito Santo, come Egli ha ricordato nell’Omelia di conclusione. Dunque la famiglia.
Prima affermazione: come Chiesa rifiutiamo una visione della famiglia come mero sistema di bisogni, la famiglia è la cellula primaria e vitale della nostra società. La realtà è allarmante. Le situazioni di difficoltà familiari dovute spesso a povertà materiali e non isolano sempre più la famiglia stessa dalla comunità: la vergogna, i sensi di colpa, lo stigma che sembra cadere addosso, il senso del fallimento, la depressione, la rinuncia obbligata a far proseguire gli studi ai figli, sono elementi che hanno implicazioni sociali gravissime, se non accompagnate da una efficace rete di comunità capace di sostenere e includere. Realtà effettiva!
Seconda affermazione: oggi noi siamo qui non solo per denunciare delle responsabilità sociali, ma per condividerle. E allora siamo in condizione di chiedere alle istituzioni una politica coordinata sulla famiglia, una nuova pianificazione di welfare territoriale che la famiglia la abbia al centro, e che tuteli soprattutto le famiglie più vulnerabili: le famiglie numerose, quelle che hanno un disabile o un anziano non autosufficiente, le famiglie monoparentali, le famiglie dove un coniuge o entrambi hanno perso il lavoro… Cosa si fa realmente, in questo ambito fondamentale? Dicono che la nostra legislazione attuale abbia ancora enormi vuoti, nel settore della promozione autentica della famiglia.

5) Ancora, “incendio in galleria!” Leggo da una scheda del Centro d’ascolto Caritas: “…L’uomo ha 52 anni, sposato con due figlie, di 15 e 14 anni. Sia lui (da 30 anni) che la moglie sono dipendenti del Ministero della Pubblica Istruzione. Nei primi anni di matrimonio (dal 1992 al ’98) la coppia ha perso tre figli (un aborto spontaneo e due morti dopo la nascita). Poco più di 4 anni fa ha iniziato a comprare “i grattini” (gratta e vinci) che lo hanno portato ad accumulare un debito che oggi ammonta a ottocentocinquanta mila euro (850.000 €). Si recava nelle tabaccherie, si sedeva e così, a suo dire, si rilassava… asserisce di non riuscire a trovare una causa a tutto ciò, ha iniziato e basta, e non riesce a smettere, nonostante la sofferenza provocata alla famiglia e i vari tentativi di smettere (psicologo e gruppi di mutuo-aiuto). Prendeva “in giro tutti” come afferma, perché sia prima che dopo l’incontro con il gruppo o con lo psicologo, passava in tabaccheria e giocava. Hanno dovuto vendere la casa che possedevano e fare un mutuo per un’altra, ha acceso diversi prestiti, ha debiti con amici, parenti, colleghi e “gente poco raccomandabile”, ha venduto i gioielli di famiglia…

Ecco un altro grido: lo sciacallaggio sulle fasce deboli della società con il gioco d’azzardo. Ormai è noto che Roma è divenuta la capitale europea del gioco d’azzardo. A Roma ci sono 24.931 slot machine…ha la sala più grande con 900 postazioni… A Roma ogni cittadino spende all’anno 1.386 euro per gioco d’azzardo e scommesse, più di quanto spenda per riscaldare le sua abitazione o di quanto gli occorra per le cure mediche. Slot machine, gratta e vinci, scommesse, videopoker e concorsi a premi rappresentano il 12 per cento della spesa per consumi e il 4,5 per cento del Pil provinciale.
Tutto alla luce del sole. “Avvenire”, domenica 18 ottobre, parlava di “inspiegabile azzardo di governo”. Ci si chiedeva se, a Roma, i solerti tecnici dell’Economia si fossero accorti di tutto questo e se i politici si rendano conto che invece di ridurre la metastasi dell’azzardo (aggravata in gran parte dalle devastanti infiltrazioni delle mafie) stanno contribuendo ad aggravarla. I danni dell’azzardo sono sempre più visibili, e in modo sempre più duro e triste. I media e la buro-politica hanno il potere (noi diciamo il DOVERE ) di dire basta, ma finora non lo dicono…

6) E come terminare senza ricordare un dramma che sta sotto gli occhi di tutti: l’immigrazione. La domanda già si era posta, anni orsono: quale nuovo mondo si apre per i figli, in una società multietnica, multireligiosa e quindi multiculturale? Come sarà Roma fra 10 anni? E rimane, in altre forme: quali le mentalità più diffuse sugli orientamenti politici attuali e futuri, nei fatti prevalentemente restrittivi, rispetto all’accoglienza degli stranieri? Sono tante la povertà attuali, con cui dobbiamo confrontarci? Oggi le grandi povertà del mondo bussano alla nostra porta e ci chiedono di dare delle risposte.
Sarebbe davvero sciocco e miope non voler guardare la realtà, che ci offre le tante sofferenze che vengono a turbare le nostre sicurezze e a cambiare le nostre abitudini. Guardare per vedere. Ma vedere non basta. A noi cristiani il Vangelo chiede di farlo con amore, perché questo, e solo questo è il grande comandamento, da cui dipendono tutta la Legge e i Profeti.
Per gli altri, credo (e spero), varrà l’intelligenza politica e la risposta necessaria a problemi ineludibili.
Ma per noi? Riprendo la metafora dell’inizio. La scritta “incendio in galleria” ha campeggiato per tanti giorni. In quel periodo nessuna autorità è passata per quella strada? Se quella informazione fosse stata vera quante tragedie sarebbero avvenute? Mi sono però domandato: Ed io, che ho visto, cosa ho fatto? Ho atteso che altri si muovessero?
La deresponsabilizzazione, diceva Ghandi, è la forma più alta di violenza. Certamente noi non ci dobbiamo inventare una società diversa, ma dobbiamo vivere diversamente questa nostra società, questo nostro stare insieme.

Prima, nell’elencazione dei mali di Roma, ho fatto riferimento al nostro essere divenuti una società individualista, disunita, frastagliata, egoista. E non mi riferivo ad una parte sola della nostra cittadinanza. Lo siamo tutti, in qualche modo: se ci pensiamo bene siamo tutti un po’ stanchi, affaticati. Ma questo non ci giustifica, almeno non pienamente. Infatti se è vero che siamo abbattuti da troppo tempo da una povertà ideale, culturale, etica che ci ha resi ciechi e sordi e muti oggi è giunto il tempo di dire basta! La nuova consapevolezza che sta affiorando da più parti, i numerosi richiami (non ultimi quelli di Papa Francesco) inchiodano noi educatori – Chiesa, istituzioni pubbliche, tra cui in primo piano la scuola – alle nostre responsabilità troppo spesso mancate!

E allora che fare? Poco fa ho ripreso le parole di quel “leader non cattolico” sui sette grandi peccati dell’Europa, tutti basati sulla omissione, su un “senza”. Qualcuno ci suggerisce di accettare il giudizio, ma con l’aggiunta di una sola parola. “Sostituire i “senza” con altrettanti “con”. E allora le cose iniziano a cambiare: il benessere lo viviamo con il lavoro, l’educazione con la morale, gli affari con l’etica, i piaceri con la coscienza, la politica con i principi, la scienza con la responsabilità, la società con la famiglia. Cambia molto: forse cambia tutto…

Nell’Enciclica “Laudato si”, Papa Francesco dice “Non bisogna pensare che questi sforzi non cambieranno il mondo. Tali azioni diffondono un bene nella società che sempre produce frutti al di là di quanto si possa constatare, perché provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente”. Parole da meditare e fare nostre. Ciascuno di noi, nel proprio vivere quotidiano, nei rapporti familiari, amicali, di lavoro, in ogni sua manifestazione, ha la possibilità di innescare un cambiamento positivo. Vi è una parte della città che ha mantenuto viva la voglia di fare qualcosa di buono. La comunità cristiana di Roma è ancora capace di generare energie positive, ma queste spesso vengono frustrate dalla malagestione e trovano il muro di gomma della cattiva amministrazione. E allora, di fronte al disfacimento morale, di fronte a queste vecchie e nuove povertà, eccoci qui a chiederci cosa possiamo fare per questa nostra città? Quale può essere il ruolo della Chiesa di Roma? La nostra risposta è nel titolo della “lettera” del Cardinale Vicario alla città: “La Chiesa, dono per la città”.
Credo che nella parola “dono” ci sia la risposta e la soluzione alla domanda se sia possibile rendere più giusta la società, ed in particolare questa nostra comunità. Il dono con cui la Chiesa può arricchire Roma è la testimonianza della realizzazione del comandamento di Cristo. La fraternità deve essere il nostro dono.
Fraternità: parola non nuova, non esclusiva del cristianesimo e cara anche ai veri laici: era nel motto triplice della Rivoluzione francese: “fraternité”. Per il pensiero illuminista un nobile principio etico, per noi la fratellanza è “ontologica”: non potremmo dirci cristiani se non consideriamo il nostro prossimo come nostro fratello. Gesù, nel passo decisivo del giudizio su tutto ciò che siamo e che viviamo ci dice che Dio ci chiederà conto di come avremo trattato il nostro fratello, ci dice che tutto quello che abbiamo fatto, o non abbiamo fatto al nostro fratello, e come se l’avessimo o non l’avessimo fatto a Lui. Papa Francesco di recente, negli Stati Uniti, ha ricordato che qui è “il nucleo nel quale tutto si annoda: “Lo avrete fatto a me!” Ecco perché la parola ci ricorda che Gesù biasima il sacerdote, persona di fede e rispettosa dei precetti, che “cambia strada” – passa sull’altro marciapiede, dice il testo evangelico – di fronte al viandante ferito, e loda il samaritano, l’esemplare allora della distanza dalla fede vera, che però soccorre il viandante ferito: non ha conosciuto il vero Dio, ma di fatto lo ha riconosciuto nel viandante “mezzo morto”, e quindi viene “riconosciuto” da Dio stesso: “Lo hai fatto a me!…Entra nella gioia del tuo Signore!” (Mt. 25)

“Chi potrà salvarsi?” domandano gli apostoli a Cristo. “ Ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio” risponde Gesù. Noi supplichiamo, ancora una volta, la “Salus Populi Romani”.

INTERVENTO DEL CARDINALE VALLINI


Il Giubileo della Misericordia a Roma
un appello per la riscossa
spirituale e civile della città

Il mio cordiale saluto a tutti loro e un grazie sincero per aver accettato l’invito a partecipare alla presentazione pubblica di questo nostro messaggio alla città ad un mese  dal Giubileo. Un grazie particolare rivolgo a tutte le distinte Autorità civili, politiche, militari, accademiche, del mondo del lavoro e della comunicazione, e a tutti i rappresentanti delle comunità ecclesiali di Roma.

Il Giubileo
Fra un mese il Giubileo della Misericordia. Sono personalmente convinto che il Giubileo della Misericordia, per la densità biblica che il termine “misericordia” evoca, sia per tutti un’occasione preziosa, e per i cristiani anche una grazia, per riconsiderare i valori fondamentali e i punti di riferimento essenziali della  vita, e di conseguenza per ripensare i propri atteggiamenti e i comportamenti  quotidiani, in questo tempo di transizione complesso e, per tanti aspetti, confuso e  sofferto.
Nell’Antico Testamento, il Giubileo fissava per il popolo ebraico un anno particolare, al termine di “sette settimane di anni” (Levitico 25, 8), dichiarando “santo il cinquantesimo anno” e proclamando per tutti “la liberazione”. La terra riposava: non si seminava, non si mieteva, né si vendemmiava, si raccoglieva soltanto l’indispensabile per sopravvivere. Ciascuno tornava in possesso del suo con la restituzione delle terre, avveniva la remissione dei debiti,  nelle vendite e negli acquisti nessuno faceva torto al prossimo, gli schiavi erano liberati (cf. Lv 25, 10-15). Si ristabiliva così l’equilibrio e l’equità nelle relazioni umane e si affermava il principio che l’ingiustizia non era invincibile.
La parola “giubileo” deriva dall’ebraico Yovel (un corno d’ariete), che indicava una specie di tromba  con cui si annunciava questo anno particolare e il go’el – che letteralmente significa il riscattatore – era colui che veniva incontro alle difficoltà di un parente, riscattando i beni di lui  persi per debito. Nel Nuovo Testamento è Gesù, parente prossimo di ogni uomo, il go’el che riscatta l’umanità dal male e dalla morte. La parabola evangelica del buon samaritano è quanto mai illuminante al riguardo.


Il Giubileo della Misericordia 
Con il Giubileo Papa Francesco chiama la Chiesae tutti gli uomini di buona volontà, a riscattarsi, a rimettere in  equilibrio le relazioni umane e sociali (cf. Lev. 50, 8-17). E’ un tempo favorevole di riconciliazione, un tempo per avviare processi personali e sociali umanizzanti. Un invito – per così dire - ad una riscossa spirituale, morale e civile 
Per la Bibbia, la misericordia non è un sentimento da praticare in alcune circostanze. Dio è misericordia, il suo agire è misericordioso e attraverso l’opera dello Spirito Santo infonde in noi un dinamismo rinnovatore.
Il Giubileo dunque è scuola ed esperienza di misericordia, di gratuità ricevuta da  Dio, da ridonare agli altri; è una mano amica che  aiuta “a non precipitare nel gorgo dello smarrimento” (E. Olmi); è un regalo di umanità e di speranza.
Confidiamo che il Giubileo interroghi la nostra coscienza collettiva ed inviti ciascuno ad impegnarsi per  unnuovo umanesimo: vale a dire a ripensare l’uomo non  individuo isolato e chiuso in se stesso, teso a soddisfare egoisticamente le sue voglie, ma a ricollocarlo nella sua relazione con Dio, dentro la quale ricomprendersi   e il suo complementare rapporto con  gli altri.

Il Giubileo per la Chiesa e la città
La Chiesa di Roma ha accolto con gratitudine l’indizione del Giubileo, e desidera viverlo attraverso itinerari spirituali offerti a tutti, i quali  aiutino a superare le incoerenze personali  e dare un nuovo respiro interiore ed un nuovo impulso – una riscossa appunto – per una più matura e responsabile testimonianza umana e cristiana.
Ma la nostra attenzione si allarga alla vita della città, di cui siamo parte.  Come tutti sappiamo, Roma oggi è afflitta da varie malattie che hanno indebolito il tessuto sociale e le stesse istituzioni. Ho avuto occasione di affermare qualche tempo fa che la nostra città – a me sembra – sia stata  colpita da una diffusa anemia spirituale, che ha come annebbiato le alte e nobili visioni che salgono dalla sua storia e dal cuore dei suoi cittadini. Il Giubileo può essere un anno di presa di coscienza della realtà e di cura con una  energica terapia che immetta nel corpo sociale sangue ossigenato per  liberarlo come da una gabbia di stanchezza, di affaticamento, di rassegnazione, di rinuncia, e rianimarlo, riattivando e sviluppando le tante risorse sane presenti nella nostra città.  Roma ha bisogno di riscoprire la sua vocazione   universale e  di far rifiorire  nuovi stili di vita, nella scia della sua storia millenaria.
In un mondo globalizzato, la vita delle persone e della   città,  insieme a molte opportunità, patisce tante sofferenze e grandi disuguaglianze, non solo economiche, nel contesto di una disordinata e confusa crescita urbana negli immensi quartieri di periferia, privi di progetto urbanistico e di decoro che umanizza la vita, e in un  degrado che sembra essere prima di tutto umano ed etico. Per esemplificare, basti pensare alla mancanza del senso di appartenenza e di coesione sociale ad una comunità cittadina, divenuta sempre più anonima, che produce modi di vivere individualisti, alla diffusa mentalità di intolleranza reciproca, alle crisi familiari, ai ricorrenti  atti di violenza (mi colpiscono particolarmente quelli sulle donne), all’allargamento e all’emarginazione delle fasce dei vecchi e nuovi poveri, alla  corruzione, non solo a quella conosciuta dalle indagini giudiziarie, ma  a quella indotta  dalla diffusa mentalità prodotta da tossine che hanno infettato il corpo sociale così da tollerare, se non proprio da legittimare, l’illegalità, in una parola all’affievolimento dell’umanizzazione della vita sociale. In una “cultura dello scarto” – come ci richiama sovente il Papa – si affermano  egoismi e indifferenza, anche negli ambienti più sani, che tendono a difendersi, isolandosi.
A fronte  delle crescenti possibilità tecnico-scientifiche non corrisponde un uguale sviluppo di una forza morale ancorata a principi e criteri di moralità fondamentale, che appare confinata nell’ambito soggettivo e privato.  Nella cultura dominante dove  ogni persona si fa misura  di tutte le cose (soggettivismo aggressivo) e ogni verità è considerata relativa (relativismo imperante), la spinta morale non sembra più avere rilevanza pubblica, così siamo impreparati a rispondere alle sfide e alle minacce che gravano sulla vita  di tutti.
Una decina di anni fa, l’allora Card. J. Ratzinger ebbe ad affermare: “Il vero, più grave pericolo di questo momento sta proprio in questo squilibrio tra possibilità tecniche ed energia morale. La sicurezza, di cui abbiamo bisogno come presupposto della nostra libertà e della nostra dignità, non può venire in ultima analisi da sistemi tecnici di controllo, ma può scaturire soltanto dalla forza morale dell’uomo: laddove essa manca o non è sufficiente, il potere che l’uomo ha si trasformerà sempre di più in un potere di distruzione” (J. Ratzinger, L’Europa nella crisi delle culture, Subiaco 1° aprile 2005, ed. Cantagalli,  2005, p. 20).

La radice della crisi
Si impone una domanda: qual è la  radice culturale che ha favorito questa diffusa mentalità anche a Roma? Penso che, per quanto riguarda la nostra città, il nostro Paese e il più vasto mondo occidentale (perché la crisi che ci affligge non riguarda solo Roma), si possa rispondere che uno dei punti critici è la preponderanza della cultura illuminista radicale e secolare, in cui  si è posto ed affermato come misura di tutto il valore assoluto della libertà autoreferenziale. A questo si è aggiunta la razionalità scientifica e la cultura tecnica, sempre più lontana da una dimensione antropologica. Questa prevalente visione ha come oscurato gradualmente la presenza di Dio fino ad escluderla dalla coscienza pubblica, rendendola  irrilevante, ma anche messo in ombra la complessità dell’uomo stesso.  Le relazioni umane e sociali ne sono state fortemente condizionate,   anche per la pressione di crescenti rivendicazioni. L’individuo, che naviga in un mondo globalizzato, spesso rimane solo, sciolto da vincoli di ordine comunitario, se non da quelli determinati dalla coercibilità della legge, anch’essa molto spesso ininfluente.
Nessuno naturalmente nega che la cultura illuminista abbia favorito la maturazione di acquisizioni importanti: penso, ad esempio, ai diritti fondamentali dell’uomo che devono essere uguali per tutti; all’organizzazione statuale con la separazione dei poteri, soggetti a  controllo; alla libertà di praticare la religione che si vuole, senza alcuna imposizione da parte dello Stato. Desidero richiamare soltanto che questa cultura, se viene generalizzata e radicalizzata, comporta una mutilazione dell’uomo. Essa dunque, a mio giudizio, è incompleta, perché taglia coscientemente una parte delle radici culturali della nostra storia, privandola di alcune sorgenti ideali dalle quali è scaturita – quali le alte motivazioni che nascono dalle convinzioni religiose - esaltando invece  il principio che la capacità dell’uomo sia la misura del suo agire. Per cui ciò che l’uomo sa fare, diventa suo diritto farlo.  Ma se questo saper fare non trova la misura in una norma morale, si trasforma – come possiamo costatare in tante tragiche vicende – in potere di sopraffazione o di distruzione e l’uomo è ridotto ad individuo in balia del più forte.
L’uomo mediatico poi, che predilige l’emozione all’argomentazione e al ragionamento, è di fatto confuso e disorientato, spettatore inerte di fatti ed eventi i quali, figli a loro volta del mito del progresso, deteriorano la casa comune e rischiano di strangolarla.
Nell’Enciclica Laudato sì Papa Francesco ha scritto: “In questa confusione, l’umanità postmoderna non ha trovato una nuova comprensione di se stessa che possa orientarla, e questa mancanza di identità si vive con angoscia. […] Quando le persone diventano autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, accrescono la propria avidità. Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, da possedere, da consumare, […] l’ossessione  per uno stile di vita consumistico,…, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca” (LS, 203-204).

Il Giubileo, per una nuova ripartenza
Che cosa fare? Non è questo, ragionando con saggezza e lungimiranza, un  tempo di rinascita personale e diriscossa sociale? Non ci è chiesto  di cooperare responsabilmente insieme per la ripresa della nostra città? Il Giubileo può essere una ripartenza,  può immettere in ciascuno di noi e poi travasare nel tessuto sociale cittadino energie positive che ci rendano capaci di superare i mali che ci affliggono per cooperare insieme  al cambiamento,  per avviare processi di vero sviluppo umano, che superando un troppo spinto individualismo che genera soltanto una moltitudine di solitudini, promuova meccanismi di socializzazione.  E’ dunque  un’opportunità da non  perdere per una evoluzione nel sentire profondo e negli stili di vita, un uscire da se stessi  per cercare gli altri, un “autotrascendersi”, infrangendo  l’isolamento delle coscienze (cf. LS, 208).
La Chiesa – lo dico con sincerità – non ha smania di protagonismo, né intende dare lezioni a nessuno, e neppure puntare il dito o condannare persone e istituzioni, verso le quali anzi nutre rispetto e offre, per quanto le compete, collaborazione cordiale, consapevole che la gestione della cosa pubblica è cosa complessa, tanto più a Roma. La Chiesa nondimeno è consapevole che la vicenda umana è turbata dal peccato e che la sua missione le chiede di non estraniarsi da chi le vive accanto e dall’impegno di “contribuire a rendere più umana la famiglia degli uomini e la sua storia” (GS. n. 40).  Scopo di questa Lettera alla città dunque è di condividere gli affanni della nostra città, fare la sua parte, essere  compagni di strada di tutti gli uomini di buona volontà, e incoraggiare a non perdersi d’animo dinanzi alle sfide che abbiamo  davanti.
Desideriamo impegnarci anzitutto noi cristiani: pastori e fedeli. Noi per primi vogliamo intraprendere un cammino giubilare di conversione. Non possiamo non riconoscere che in tanti battezzati  c’è un  affievolimento dell’identità spirituale, con ricadute di incoerenza nei comportamenti. Nell’odierno contesto secolarizzato, in molte persone purtroppo il riferimento a Dio rimane sullo sfondo dell’anima, per cui si vive  una sorta di “inquinamento dello spirito” che rende la vita più cupa e fa smarrire  la speranza.
La  fede, che  spesso è soltanto dichiarata e non vissuta, deve essere di nuovo annunciata e accolta così da mostrarne la bellezza. La testimonianza dei cristiani, quando è credibile e gioiosa, scuote le coscienze  impigrite o addormentate, suscita stupore e  rimette in circolo comportamenti  virtuosi con ricadute positive negli ambienti di vita, creando luoghi di discernimento e di educazione all’impegno sociale e civile. Vorrei sottolinearlo: negli ambienti di vita, lì i cristiani sono chiamati ad essere fermento di umanità.
Dirsi cristiani, cioè credere che Cristo è risorto (perché questo è il cuore della fede) non significa accendere una luce soltanto sul nostro destino eterno, ma anche immettere una forza nuova  per vivere il presente e dare  un contributo originale alla costruzione  della città  terrena. E’ una responsabilità che dobbiamo assumerci. I laici cristiani, che per vocazione  sono impegnati a costruire le realtà del mondo ordinandole secondo Dio, non possono defilarsi  dalle responsabilità della città e dalle fatiche di promuovere reti positive di  vita sociale giusta e serena. Sono essi i primi ad avviare la riscossa di Roma per condividere con tutti, credenti e non credenti, obiettivi e progetti per una città degna dell’uomo.
Ma  desidero accennare ad un altro aspetto, che chiama in causa tutti i cittadini di Roma, al di là delle proprie convinzioni religiose. Osservando la vita della città non posso non condividere  quanto attenti studiosi e acuti analisti evidenziano da tempo, che cioè Roma ha urgente bisogno di una forte ripresa della qualità della vita quotidiana. Qualità della vita naturalmente significa legalità, tutela dei  diritti, giustizia sociale, lavoro, efficienza dei servizi, ma significa anche senso civico, rispetto reciproco, buona educazione, solidarietà, magnanimità, mentre tante volte sembra che prevalga un istinto di difesa, di chiusura, di insicurezza, di  sfiducia, di paura, che genera  diffidenza,   ostilità,   tensione sociale. Sembra smarrito l’orizzonte comune dell’esperienza umana, il senso condiviso dell’inviolabile dignità di ogni persona, il tessuto delle genuine relazioni interpersonali, che si esprimono nella responsabilità di tutti verso tutti e che danno senso alla convivenza civile.
Ho parlato all’inizio di “anemia spirituale”. Mi si permetta un’ultima riflessione. Se la luce di Dio non rischiara e riscalda la vita, l’orizzonte dell’uomo rischia di diventare angusto, freddo, si rimpicciolisce. Il cuore è più facile preda del consumismo senza etica, cresce la bramosia dei desideri di qualunque tipo, ci si separa dagli altri, chiusi nel proprio egoismo. Questo uomo è capace dei più orribili delitti. Gli manca il respiro dell’anima, che lo apra alla gratuità, alla misericordia appunto, alla voglia di cooperare ad  una comunità umana degna di questo nome.   
Roma ha bisogno – lo ripeto – di una forte riscossa spirituale, morale, sociale, civile, con la cooperazione di tutti.  Non aspettiamo che comincino gli altri: ciascuno nel suo ambiente si faccia protagonista di buone idee, di proposte, di  dialogo e di azione. Ricostruiamo attraverso nuovi processi un tessuto di umanità semplice e sincera, favorendo aggregazioni positive.  Roma non manca di risorse esemplari. Conserva, per l’infaticabile impegno di tanti, meravigliosi talenti. C’è un reticolo di iniziative spontanee, associazioni, istituzioni che, ispirate da umanità e carità, possono creare coesione sociale.  Necessitiamo di buoni samaritani che si facciano carico della città.
Assumiamo con coraggio il compito di trasmettere ai  giovani l’eredità di una Roma migliore, superando il pessimismo e la rassegnazione.
Il nostro cordiale e umile appello è di impegnarci insieme  a dare  a Roma questa riscossa, con ottimismo e fiducia.
Il Giubileo può essere la linfa spirituale che rianima e rilancia la vita e la missione di Roma nel mondo.


Agostino Card. Vallini

LA LETTERA ALLA CITTÀ DEL CARDINALE AGOSTINO VALLINI


La “Lettera alla città” del cardinale Agostino Vallini e del Consiglio pastorale diocesano

LA CHIESA DI ROMA NELLA CITTÀ
I cristiani, nella città, sono chiamati a brillare come “luce del mondo” e “lampada che illumina tutti quelli che sono nella casa” (cfr. Mt 5,14ss). Così testimoniano la vita nuova e gioiosa dei figli di Dio. Questa è la prima e fondamentale missione della Chiesa di Roma, che “presiede nella carità” (1).
Con questa lettera desideriamo chiederci: siamo davvero all’altezza di questa testimonianza nella nostra città di Roma? Cosa possiamo fare per rispondere meglio alla chiamata del Signore, che ci vuole “luce del mondo” (Mt 5,13)?
Papa Francesco, rivolgendosi a noi cittadini romani, ha detto: «Domandiamoci: in questa città, in questa comunità ecclesiale, siamo liberi o siamo schiavi, siamo sale e luce? Siamo lievito? Oppure siamo spenti, insipidi, ostili, sfiduciati, irrilevanti e stanchi? Senz’altro le gravi vicende di corruzione, emerse di recente, richiedono una seria e consapevole conversione dei cuori per una rinascita spirituale e morale, come pure per un rinnovato impegno per costruire una città più giusta e solidale, dove i poveri, i deboli, gli emarginati siano al centro delle nostre preoccupazioni e del nostro agire quotidiano. È necessario un grande e quotidiano atteggiamento di libertà cristiana per avere il coraggio di proclamare, nella nostra città, che occorre difendere i poveri, e non difendersi dai poveri, che occorre servire i deboli e non servirsi dei deboli! […] Quando una società ignora i poveri, li perseguita, li criminalizza, li costringe a “mafiarsi”, quella società si impoverisce fino alla miseria, perde la libertà […] e cessa di essere cristiana» (2).
Le luci e le ombre del momento presente ci sollecitano, come Chiesa, ad impegnarci in una nuova stagione di rinnovamento spirituale, di evangelizzazione, di responsabilità culturale e di impegno sociale, sostenuti dalla forza della fede, per raggiungere le periferie geografiche ed esistenziali della nostra città.
Non abbiamo alcuna smania di protagonismo o di visibilità politica: ci accompagna solo la lucida consapevolezza di non poterci estraniare dalla vita degli uomini e la certezza che per noi annunciare il Vangelo “non è un vanto, ma una necessità che ci si impone” (cfr. 1Cor 9,16).
Il Giubileo della Misericordia, ormai imminente, è un dono che la Chiesa di Roma intende condividere con le donne e gli uomini che vivono in città. Vorremmo che sia soprattutto un tempo consacrato a Dio per restituire «pace agli uomini che Dio ama» (cfr. Lc 2,14). Un tempo in cui rimettere in ordine tutte le relazioni umane (questo è il senso originario del giubileo biblico: cfr. Lv 25) ed imprimere nuovo slancio e passione alla rigenerazione della vita sociale.
Ci sembra un’urgenza non più differibile.

CONDIVIDERE GLI AFFANNI DELLA NOSTRA CITTÀ
La nostra città vive un momento di transizione e di crisi. La corruzione, l’impoverimento urbanistico e ambientale, la crisi economica hanno investito pesantemente lo spazio fisico, l’identità collettiva e la coesione sociale. Aumentano le povertà, non solo materiali, che alimentano nuovi e profondi squilibri.
La sfiducia nelle istituzioni civili e la perdita del senso di appartenenza sociale producono stili di vita sempre più individualistici. Ne conseguono forti tensioni sociali, in particolare di fronte alla sfida dell’immigrazione. L’assetto urbanistico, oggi ulteriormente polverizzato, non ha aiutato l’integrazione.
Il centro storico si sta progressivamente svuotando di abitanti residenti e si trasforma in centro della politica e in distretto turistico. Roma sta diventando la sua periferia. Il 23% della popolazione vive oggi al di fuori del Grande Raccordo Anulare e in queste aree l’incremento degli abitanti negli ultimi 10 anni è stato del 26%.
Uno dei fenomeni più importanti caratterizzanti lo sviluppo insediativo del Comune di Roma negli ultimi quindici-venti anni è, ad esempio, lo sviluppo delle grandi polarità commerciali e dell’intrattenimento. Sono presenti più di 28 grandi centri commerciali nel territorio cittadino (e altri sono in costruzione). Inoltre sotto la pressione del mercato immobiliare in crescita, la popolazione va a vivere fuori Roma, alla ricerca di una casa a più buon mercato (soprattutto le giovani coppie) o anche di una migliore qualità della vita e dell’ambiente. La periferia ha assunto così una dimensione metropolitana.
Nuove sofferenze sono emerse dalla disoccupazione, soprattutto giovanile, mentre sono aumentati i costi strutturali tipici delle grandi città come i trasporti, la mobilità in genere e i servizi, e per alcune voci di base, come il costo degli affitti, il livello appare del tutto insostenibile. La crisi ha alimentato le disuguaglianze, accentuato le differenze tra i quartieri centrali e le periferie, allargato la fascia dei poveri e degli ‘invisibili’. Il ceto medio ne è uscito indebolito, si sono alzati steccati tra ambienti sociali diversi, scoraggiando quella ‘mescolanza’ virtuosa necessaria per far crescere la coesione di una città e la pratica quotidiana del dialogo e del riconoscimento reciproco. Va anche ristabilito un nuovo “patto generazionale” tra adulti e giovani, che spesso soffrono retribuzioni ingiuste.
Il malessere purtroppo si respira nell’aria: la stessa gestione ordinaria del territorio, come ad esempio la manutenzione delle strade, la cura dell’illuminazione, le procedure di raccolta e smaltimento dei rifiuti, hanno assunto, in diversi quartieri, aspetti di un degrado urbano complessivo da cui, talvolta, sembra difficile liberarsi. A tutto ciò si sono aggiunti acuti problemi di sicurezza e l’incremento di atti di violenza.
Più che accusare o condannare le istituzioni civili o la società nel suo insieme, come troppo spesso superficialmente avviene, desideriamo condividere gli affanni della nostra città, fare la nostra parte, essere compagni di strada di tutti gli uomini di buona volontà, e dire a tutti, concittadini e istituzioni di Roma, di non perdersi d’animo dinanzi alle sfide che abbiamo davanti.
Il problema non è di natura esclusivamente organizzativa. Alla radice – vogliamo sottolinearlo – c’è una profonda crisi antropologica ed etica. In tanti sembra smarrito l’orizzonte comune dell’esperienza umana, il senso condiviso dell’inviolabile dignità della persona, il tessuto delle genuine relazioni interpersonali che si esprimono nella responsabilità verso gli altri e che danno senso all’agire umano. Troppe persone si incrociano per strada e si guardano con diffidenza, quasi siano alieni provenienti da pianeti diversi.
Questa sfida vogliamo raccogliere come Chiesa di Roma, offrendo a tutti i nostri fratelli romani anzitutto il tesoro più prezioso che abbiamo: il santo Vangelo. Che, per noi, non è un libro, ma una persona viva, Cristo Signore, che riempie il cuore e la vita di quelli che lo incontrano e si lasciano amare e salvare.
Questa lettera è dunque un appello affinché tutti gli uomini di buona volontà collaborino per edificare il bene comune; ma più ancora è una promessa: in questo Anno Santo della Misericordia desideriamo agire concretamente affinché Roma diventi sempre più abitabile e felice e tutti possiamo «“sentirci a casa” all’interno della città che ci contiene e ci unisce» (3).

RIPARTIRE DALLE MOLTE RISORSE CIVILI E RELIGIOSE DELLA CITTÀ
Nonostante gli accennati segni di crisi, Roma conserva, anche per l’infaticabile impegno di molti, credenti e non credenti, meravigliosi talenti per svilupparsi come luogo di incontro, di riconciliazione, di dialogo, di promozione della crescita integrale della persona e della reciprocità sociale.
Tra queste risorse ricordiamo il suo straordinario patrimonio archeologico, artistico e culturale, cui si connettono le imprese e i servizi legati alla vocazione turistica della città; la diffusa presenza di università e centri di ricerca; un tessuto commerciale e industriale che riguarda anche l’agroalimentare, la tradizione dell’artigianato, la moda e altri settori del “made in Italy”; la rete di imprese e servizi nel campo della comunicazione e dell’informazione multimediale pubblica e privata; l’emergere di imprese giovani dedicate all’innovazione tecnologica accanto ad un robusto polo di servizi terziari. E ancora, l’offerta di servizi sanitari, che – certamente migliorabili – possono dare una risposta umanizzata al bisogno della tutela della salute; la capacità di promuovere grandi eventi e di poter attrarre milioni di persone di tutto il mondo; l’opportunità di essere città del cinema, dello spettacolo, della cultura, dell’arte, della musica, dello sport. Senza dimenticare la sua collocazione geo-politica di capitale, al centro d’Italia e di grandi vie di comunicazione.
Dobbiamo e vogliamo menzionare anche il ruolo della Chiesa. In primo luogo, evidentemente, la persona del Papa, che quotidianamente parla alla città e al mondo, e con la sua presenza raccoglie folle di pellegrini e di turisti, di fedeli e di non credenti, attorno alla sua parola. Ma non vanno dimenticate le numerose realtà ecclesiali presenti e operanti sul territorio: parrocchie, comunità religiose, movimenti e associazioni ecclesiali, scuole cattoliche e università, ospedali e case di cura, strutture caritative, ecc.
La città ha una ricchezza immensa, non adeguatamente conosciuta né valorizzata, che può essere fatta crescere, e che riveste, in ogni caso e oggettivamente, un grande rilievo anche a livello di sistema urbano e territoriale.
La Chiesa di Roma, insieme con le donne e gli uomini di buona volontà, desidera rendere “reciproca” la città: più attiva, più partecipe e più unita. Una città aperta a tutti, giovani, adulti e anziani, donne e bambini, che sappia andare incontro ai bisogni di relazione fra generazioni, alle insicurezze e alle solitudini, ai problemi connessi all’invecchiamento della popolazione e alle richieste, spesso del tutto nuove, che vengono da adolescenti, giovani e famiglie.
Focalizziamo il nostro impegno su cinque sfide o “cantieri” che ci sembrano urgenti e decisivi.

LE SFIDE
1 – Vecchie e nuove povertà
Spinti dalla carità di Cristo e, nello stesso tempo, consapevoli che non si può offrire come carità quello che è dovuto per giustizia, dobbiamo affrontare con determinazione gli squilibri profondi, economici, sociali, culturali. Il 31 dicembre 2013 Papa Francesco ha detto ai romani: «Roma è una città di una bellezza unica, il suo patrimonio spirituale e culturale è straordinario. Eppure, anche a Roma ci sono tante persone segnate da miserie materiali e morali, persone povere, infelici, sofferenti, che interpellano la coscienza di ogni cittadino. A Roma forse sentiamo più forte questo contrasto tra l’ambiente maestoso e carico di bellezza artistica, e il disagio sociale di chi fa più fatica. Roma è una città piena di turisti, ma anche piena di rifugiati. Roma è piena di gente che lavora, ma anche di persone che non trovano lavoro o svolgono lavori sottopagati e a volte indegni; e tutti hanno il diritto ad essere trattati con lo stesso atteggiamento di accoglienza e di equità, perché ognuno è portatore di dignità umana».
Nella vita sociale di Roma cresce la realtà drammatica delle povertà delle famiglie, che negli ultimi anni si è estesa anche a settori del ceto medio. Si pensi inoltre alla preoccupante condizione di tanti anziani che vivono in solitudine.
In molte famiglie oggi il lavoro è l’assillo maggiore e il sollievo offerto attraverso sussidi non è risolutivo, perché «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro» (4).
Alla grave mancanza di lavoro si aggiunge, fra l’altro, la pericolosa e invasiva diffusione del gioco d’azzardo che coinvolge in maniera crescente le giovani generazioni e non risparmia neppure gli adulti e gli anziani. Spesso le famiglie in cui c’è un giocatore ne sono devastate. Un fenomeno che richiede interventi rapidi e decisi a livello culturale e normativo.
Quotidianamente Caritas diocesana, parrocchie e organizzazioni caritative sono investite direttamente dai problemi che richiedono risposte a favore di chi non ha una casa o ha perso il lavoro, dei padri e madri separati, degli anziani, degli immigrati o dei senza fissa dimora. A tutto ciò esse rispondono come è a loro possibile. Ma è urgente intervenire con politiche che attivino processi concreti atti a realizzare gradualmente soluzioni di equità sociale e di solidarietà.
Inoltre auspichiamo, nei diversi quartieri della città, la promozione di luoghi dove cittadini volontari, sensibili al bene comune, mettano a servizio di quanti vivono in condizioni precarie e di disagio la loro esperienza umana e professionale per indirizzarli ed accompagnarli nella soluzione dei loro problemi quotidiani (ad es. il disbrigo delle pratiche amministrative, le visite mediche, l’educazione scolastica dei figli, l’uso attento del denaro), così da sostenerli e rendere la loro vita meno amara, infondendo fiducia dove a volte c’è solo sconforto.

2 – L’accoglienza e l’integrazione
Gli immigrati – non solo i rifugiati, ma tutti gli stranieri stabilitisi a Roma – devono essere accolti come persone e aiutati, insieme alle loro famiglie, a integrarsi nella città e nella vita sociale. Purtroppo, non esistono formule certe per raggiungere al meglio questo obiettivo; ma possono e devono essere ricercate strategie efficaci e condivise. La comunità cristiana è impegnata a promuovere la cultura dell’incontro. Cittadini e immigrati, con le associazioni e i rappresentanti delle istituzioni, possono incontrarsi anche nelle parrocchie per dialogare, ascoltarsi, progettare insieme, e in questo modo superare il sospetto e il pregiudizio e costruire una convivenza più sicura, pacifica ed inclusiva, nel rispetto di tutte le minoranze.
In concreto, ciò significa: mettere in comune quello che si ha per i nuovi bisogni dei molti, vivere la reciprocità e la condivisione in strutture fisiche di ospitalità per l’incontro, per l’educazione civile, per ogni azione sociale che incoraggi nella pratica quotidiana l’integrazione, attraverso corsi di lingua italiana, di educazione civica e democratica, di storia e di diritto, di usi e tradizioni, di educazione alla salute e al benessere, anche mediante momenti di socialità relazionale e di conoscenza reciproca. Per implementare il dialogo, sarebbe utile organizzare eventi comuni contro la violenza e contro le stragi commesse in nome di Dio. Il dialogo con credenti di altre fedi religiose è una vocazione naturale del cristiano, nella certezza dell’unicità di Cristo Salvatore e dell’universale offerta di salvezza.
All’appello lanciato da Papa Francesco a che «…ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia [di profughi], incominciando dalla mia diocesi di Roma…» (5), un piano di azione è stato elaborato dalla Caritas diocesana in stretta collaborazione con la Prefettura e le altre Istituzioni civili, perché tutto si svolga ordinatamente. La generosità delle comunità cristiane – anche singole famiglie, che hanno aperto la loro casa a questi fratelli bisognosi – ci lascia ammirati e ci conforta.
La Chiesa si impegna a combattere con rinnovata energia ogni forma di sfruttamento prodotto dalla «cultura dello scarto»: dallo sfruttamento economico-abitativo degli studenti fuori sede e degli stranieri, a quello della prostituzione, della manodopera italiana e straniera spesso non adeguatamente tutelata.

3 – L’educazione
La cosiddetta ‘società liquida’ della non-durata, precaria e frammentata, orfana di spiritualità, e ancora confusa dal fallimento delle grandi ideologie, rischia di provocare – nell’era di Internet – un determinismo tecnologico per cui si spostano verso la ‘rete’ compiti che sono propri dei soggetti educativi, come ad esempio quelli di promuovere alla libertà e alla democrazia. Accanto alle indiscusse potenzialità delle nuove tecnologie, c’è il rischio di smarrire l’evidenza che esse sono soltanto uno strumento che non può espropriare la persona della libertà all’autodeterminazione.
Un altro rischio molto serio nei processi educativi è quello di emarginare l’educazione al pensiero critico a favore di una mitologia dello sviluppo economico, di cui non vogliamo disconoscere l’importanza. Non si può insegnare, però, alle nuove generazioni che l’unica cosa che conta è la crescita della quantità di denaro.
Il primo compito di una comunità che si preoccupa del futuro è l’impegno all’educazione culturale e morale. Non a caso la Chiesa Italiana ha scelto come obiettivo pastorale del decennio corrente l’impegno per “Educare alla vita buona del Vangelo”. Tutti siamo chiamati in causa: singoli, famiglie, istituzioni.
La scuola, l’università e i centri di formazione professionale, così numerosi a Roma, e tutti quelli che vi lavorano – educatori, insegnanti, docenti, personale dirigente o ausiliario – sono invitati a metter al centro del processo educativo delle nuove generazioni romane la crescita integrale della persona. Non fare sconti sull’impegno necessario per costruire una cultura di spessore, tutelare e includere gli alunni fragili e in difficoltà, promuovere il senso etico e civico, educare alla legalità, al rispetto reciproco e all’accoglienza di ciascuno: questo deve essere considerato un contributo prezioso e decisivo per edificare una città migliore.
Questa responsabilità educativa deve interessare anche l’uso competente e consapevole dei mezzi di comunicazione ormai insofferenti ad ogni tentativo di vera regolamentazione. Un impegno da intensificare soprattutto negli ambiti in cui la relazione educativa non è surrogabile dagli strumenti tecnologici: Internet non può bastare per diventare uomini e donne. In questa prospettiva è decisivo tornare ad appassionare i ragazzi e i giovani anche alla bellezza dei tesori di arte inestimabili che Roma custodisce come in uno scrigno unico al mondo. Lungo i secoli gli artisti hanno insegnato che la vita ha senso se vi è armonia, bellezza e verità. La bellezza dà respiro alla vita.
Sollecitiamo le autorità preposte a curare la formazione di educatori preparati e appassionati per favorire l’educazione alla relazione con gli altri, sia nella cerchia ristretta degli affetti prossimi che in quella più ampia degli ambienti di vita, l’educazione al rispetto delle differenze, l’educazione all’affettività e ad un esercizio responsabile della sessualità, l’educazione al servizio e al volontariato, l’educazione alla responsabilità ambientale. In questi delicati ambiti della crescita personale, genitori, insegnanti, educatori, formatori, siano figure adulte solide, affidabili e competenti.

4 – La comunicazione
Negli ultimi trent’anni il nuovo mercato dei mezzi di comunicazione di massa, soprattutto attraverso le televisioni, ha proposto immaginari sociali e modelli di vita spesso irreali, suscitando aspettative di successo e di benessere, e non di rado legittimando nell’opinione comune l’uso di mezzi moralmente censurabili per raggiungere tali obiettivi. Certo, non sono mancate le esperienze positive, che hanno unito molti professionisti laici e cattolici impegnati ad aprire vie nuove sui contenuti etici, umani, sociali, religiosi, nello sforzo di promuovere una comunicazione e una informazione attenta alla verità e allo sviluppo integrale della persona. Ma la realtà prevalente, purtroppo, è stata un’altra. Il mondo che presentano è troppo spesso un brutto posto dove non verrebbe voglia di vivere. Si è diffusa, ad esempio, una strumentalizzazione degradante dell’immagine della donna; si è fatto scempio della conflittualità familiare e di coppia, fingendo di volerla sedare; si è sdoganato un turpiloquio continuo che ha fatto saltare stili e modalità di relazioni; si è prodotta, e si produce ancora, una volgarità invadente; si sono legittimati comportamenti e atteggiamenti violenti e di prevaricazione; si è diffuso il gusto per l’orrore che ha finito col desensibilizzare, cioè rendere indifferenti rispetto al dolore degli altri, le coscienze più giovani; si è dato spazio ad un’ondata trasbordante e morbosa di cronaca nera, a cui non corrisponde il Paese reale; si è data voce ad una visione banale dell’esistenza.
L’attenzione ai grandi temi della vita – nascere, morire, sapere, saper essere, saper vivere insieme, credere, condividere… – è rimasta confinata ad esperienze di nicchia.
Si impone quindi l’urgenza di ricostruire una cultura collettiva più umana e più vera. Più attraente. L’attuale complessità del mondo dell’informazione e della comunicazione esige un impegno condiviso ed organico da parte delle migliori risorse laiche e ecclesiali della città.
La Chiesa a Roma intende essere presente nell’agorà dei media, offrendo la sua voce ed il suo punto di vista. Tutti i cristiani che operano, a diverso livello, nel mondo dell’informazione e della comunicazione sono sollecitati ad impegnarsi per promuovere contenuti che investano il rapporto media-famiglia-cultura-solidarietà-giovani, attraverso scelte coraggiose di libertà, anche in questo ambiente, spesso pesantemente
condizionato da interessi economici e di parte.

5 – Formare pazientemente la classe dirigente di domani
La complessità dei problemi che una metropoli come Roma deve affrontare richiede una classe dirigente competente e dedita al bene comune. Oggi si tende troppo spesso ad accomunare tutti i rappresentanti delle istituzioni in una condanna generalizzata e senza appello. Noi non vogliamo farlo: non dimentichiamo esempi di eccellente dedizione istituzionale e non puntiamo il dito su presunte responsabilità individuali. Però non si può negare che una delle cause dell’attuale situazione di crisi debba essere individuata anche nella debolezza di parte della classe dirigente. Troppo spesso persone di valore non hanno la forza di esprimere la propria vocazione al servizio del bene comune e di incidere beneficamente sulla società, mentre altri per brama di potere e desiderio smodato di arricchimento occupano posti nella direzione e gestione delle istituzioni senza le doti, la motivazione e la competenza necessarie per promuovere programmi e politiche di equità sociale a favore di tutti i cittadini.
Ne derivano nella vita della città vistosi squilibri tra chi è garantito in posizioni di sicurezza e tranquillità e quanti, deboli, meno provveduti o meno capaci, sono condannati ad una vita difficile, pesante, se non addirittura ad essere esclusi.
La comunità civile di Roma deve adoperarsi concretamente per procurare ad ogni cittadino e ad ogni famiglia lo sviluppo e il pieno esercizio della dignità umana, in una equilibrata relazione tra tutti gli ambienti nei quali si esercita la vita sociale. La classe dirigente è chiamata a fare il possibile per garantire a tutti dignità piena e il necessario per formare e mantenere una famiglia. Assicurare ad ogni famiglia la casa, il lavoro, l’assistenza sanitaria e il diritto primario ad educare, è l’impegno inderogabile a cui deve tendere la classe dirigente nell’esercizio dei suoi poteri e delle sue responsabilità pubbliche. Occorre sviluppare la consapevolezza diffusa che una buona società non può esistere senza un impegno civile e politico svolto con competenza, dedizione e nobiltà di spirito.
Riteniamo che con coraggio si debba avviare il “cantiere” per costruire adeguati cammini di formazione pre-politica aperti a tutti, particolarmente alle migliori energie giovanili, portatrici di nuove idee e prospettive di speranza, per rimotivare anzitutto i credenti all’impegno politico come servizio verso la società ed esercizio supremo della “carità sociale”. E’ urgente riattivare le politiche dal basso, quelle sussidiarie, che permettono ai cittadini di ritrovarsi e elaborare soluzioni condivise intorno a temi e a problemi concreti del loro territorio.
La Diocesi di Roma ha cominciato a lavorare già da qualche anno in questa direzione: nel Convegno delle aggregazioni laicali ecclesiali e di ispirazione cristiana, del 7-8 marzo 2014, su “La missione dei laici cristiani nella città”, ha dato vita ad un “Osservatorio sulla città”, che ha il compito di “fare rete” tra le associazioni, le aggregazioni laicali e i laici presenti sul territorio e di promuovere iniziative di formazione e di confronto pubblico nei vari ambienti, anche per coinvolgere quanti, pur non riconoscendosi nella fede cristiana e nella Dottrina sociale della Chiesa, desiderano conoscerne meglio i contenuti e convergere sul terreno del bene comune. Tale impegno sarà intensificato, affinché il contributo dei cristiani alla vita sociale e politica possa essere lievito che fa crescere tutta la collettività.

CONCLUSIONE
In questo momento di grandi cambiamenti epocali, il Giubileo della Misericordia è una grazia per la Chiesa e per ogni cristiano. Tutti siamo chiamati – ha affermato il Papa – «ad offrire più fortemente i segni della presenza e della vicinanza di Dio. Questo non è il tempo per la distrazione, ma al contrario per rimanere vigili e risvegliare in noi la capacità di guardare all’essenziale.
È il tempo per la Chiesa di ritrovare il senso della missione che il Signore le ha affidato il giorno di Pasqua: essere segno e strumento della misericordia del Padre (cfr. Gv 20,21-23)» (6).
Desideriamo con tutto il cuore contribuire alla rinascita della nostra città per un motivo semplice: la città è la nostra casa comune. È in questo spazio che noi sviluppiamo e condividiamo la nostra umanità e fraternità. Lo facciamo con speranza ed entusiasmo, fiduciosi nel cambiamento auspicato da tutti, per costruire una città più giusta, più solidale. Ma lo facciamo anche praticando le opere di misericordia. Perché la misericordia, vogliamo sottolinearlo, è la perfezione della giustizia in un mondo fragile e imperfetto.
La Chiesa di Roma vuole fermarsi, inginocchiarsi e offrire il proprio aiuto davanti alle sofferenze degli uomini.
Roma ha urgente bisogno di questo “supplemento d’anima” per essere all’altezza della sua vocazione e delle nostre attese di speranza.

Dal Vicariato, 9 novembre 2015
Dedicazione della Basilica Lateranense
Il Cardinale Vicario Agostino Vallini
e il Consiglio Pastorale Diocesano

1 Cfr. S. Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani, I,1.
2 Omelia del Te Deum, 31 dicembre 2014
3 Papa Francesco, Enciclica Laudato sì, n. 151
4 Enciclica Laudato sì, n. 128
5 Angelus, 6 settembre 2015
6 Omelia ai Vespri, 11 aprile 2015